È una lunga intervista, in gran parte inedita, quella che mette insieme il vastissimo materiale che dà forma a L’insolito ignoto, vita acrobatica di Tiberio Murgia, il documentario scritto e diretto da Sergio Naitza in concorso a Prospettive Italia che è stato presentato al Festival di Roma. Un omaggio a uno dei caratteristi più popolari del grande schermo che ripercorre, insieme alla carriera dell’attore (che ha interpretato ben 155 film), cinquant’anni di cinema italiano. Attore per caso, Murgia, iniziò la sua fortunata avventura artistica proprio in quel 1958 in cui, con I soliti ignoti, Mario Monicelli dava vita alla “commedia all’italiana”. Il regista lo notò quando ancora faceva il lavapiatti e, intuendone le potenzialità espressive, lo volle a tutti i costi per il suo film. Da quel momento in poi, abiurando per sempre le sue origini sarde (almeno sullo schermo) sarà Ferribotte, siciliano geloso e ossessionato dal tradimento. Di questa sua prima volta Claudia Cardinale, anche lei al suo esordio cinematografico, ha un ricordo nostalgico e affettuoso: “Ne I soliti ignoti Tiberio interpretava mio fratello, doveva essere severo e geloso. Durante le pause continuava a fare il fratello protettivo, mi proteggeva dagli sguardi e dalle avances della troupe”.
A questa prima testimonianza si aggiungono quelle dei moltissimi attori e registi che hanno collaborato con Murgia, e che fanno emergere il ritratto di un attore quasi completamente fuso con il suo personaggio (fra questi Mario Monicelli, Gina Rovere, Enzo Garinei, Maria Grazia Buccella, Riccardo Garrone, Corrado Farina, Filippo Martinez, Lando Buzzanca, Nino Castelnuovo, Valeria Fabrizi, Antonella Lualdi) e quelle dei parenti e degli amici, che mettono in luce una storia personale degna di un film: quella di un sardo che dopo una giovinezza di stenti decide di emigrare a Roma e si riscatta attraversando come un funambolo molteplici avventure. Non mancano ovviamente le tante pellicole interpretate dall’attore, di cui il regista utilizza sapientemente moltissimi estratti e da cui prende forma quell’immagine che rende così simile il personaggio al suo interprete: il Murgia donnaiolo, che sullo schermo come nella vita privata non ha mai saputo rinunciare alla passione per le donne: “Quello che io facevo nei film, Tiberio era nella vita: un dongiovanni impenitente”, racconta Lando Buzzanca, ripensando ai backstage dei set condivisi con lui. Per Nino Castelnuovo: “Era un uomo di infinita fantasia, che avrebbe fatto la gioia di uno scrittore”. Il film di Sergio Naitza, inoltre fa luce su molti aneddoti riguardanti l’attore, diverse leggende metropolitane, che Murgia stesso aveva provveduto a far circolare su di sé, come il suo presunto e fortunoso salvataggio a Marcinelle – dove diceva di essere emigrato per lavorare in miniera e che invece per sua stessa ammissione è risultato totalmente falso. “Fantasie – spiega Naitza – che con noi, durante il film, per la prima e ultima volta, ha avuto il coraggio di ammettere”.
Altro documentarista di grande interesse è da sempre Gianfranco Pannone, che con il suo più recente documentario Ebrei a Roma prosegue il suo viaggio italiano tra passato e presente, tra memoria e attualità. Montando insieme prezioso materiale di repertorio (proveniente per lo più dall’ Istituto Luce) e interviste realizzate oggi, Pannone ci racconta come la comunità ebraica di Roma sia in realtà uno dei nuclei più antichi della romanità, visto che si ha notizia di una presenza ebraica a Roma prima della distruzione del tempio di Gerusalemme e della conseguente diaspora. “È una comunità che ha vissuto profondamente il proprio rapporto con Roma e che oggi riscopre un’ortodossia nelle nuove generazioni, ortodossia che i più anziani avevano messo da parte. Inoltre una giovane ebrea romana che è impegnata come guida turistica ci spiega origine etimologiche di nomi molto diffusi come Piperno e Terracina: e in queste etimologie si può constatare ancora una volta la profondità dei legami con Roma”.
Naturalmente nel documentario c’è spazio anche per gli eventi più tragici, come la deportazione dell’ottobre 1943 a opera di fascisti e nazisti. Ma lo spazio principale è dedicato ai racconti e alle considerazioni profonde rievocate con sorprendente naturalezza. Racconta infatti un testimone: “Certo, noi eravamo famosi per l’usura. Ma perché la facevamo? È molto semplice: perché, essendo un peccato agli occhi della religione cattolica, erano gli stessi cattolici a spingerci in questa direzione. L’usura creava ricchezza finanziaria: noi la praticavamo e loro ne godevano i benefici, senza esserne immischiati personalmente”.
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