Lazzaro ha fatto 13 con la sua eterna purezza

Il film di Alice Rohrwacher debutta in Concorso. E la regista ricorda Ermanno Olmi, la cui eco spirituale aleggia su Lazzaro Felice. "Avrei voluto che lo vedesse"


CANNES – Lazzaro Felice è un concetto. L’eterna purezza. 

“Lazzaro è uno ‘stare al mondo’, la possibilità per gli uomini di essere buoni”, ha dichiarato la regista. 

Il film ha debuttato in Concorso nel pomeriggio, accolto da 13 minuti di applausi ricevuti con commozione da tutto il cast e la produzione in sala (tempesta film e Rai Cinema), un film che – detto da Alice Rohrwacher – “è stato terminato solo mercoledì…”. 

Uno scandalo del tabacco, sulla scia di un grande inganno architettato da una marchesa (Nicoletta Braschi) dalla perfida gentilezza, che per un lungo periodo ha fatto credere a 54 braccianti fosse ancora in vigore la mezzadria (per Legge, in Italia abolita dal 1982). Tra loro Lazzaro (Adriano Tardiolo), un ventenne dall’animo puro e ingenuo come solo quello di un bambino potrebbe essere, che per la prima volta incontra l’amicizia, quella di Tancredi (Luca Chikovani), suo coetaneo, completamente assorto dalla propria libertà e distorta fantasia, non cattiva ma indubbiamente in frizione con lo spirito di Lazzaro. Questo lo spunto della trama. 

L’incontro che Alice Rohrwacher ha riservato alla stampa italiana subito dopo la premiere è iniziato nel nome di Ermanno Olmi, la cui eco poetica e bucolica, ma anche spirituale, si tocca nel film: “un maestro e un mastro, artigiano di questo mestiere, a cui non ho fatto in tempo a mostrare il film. Non c’è sguardo che in questo momento mi manchi di più”, ha detto subito Alice. 

“Ho finito il film quattro giorni fa, senza aspettativa. Era una scommessa, ci abbiamo provato. È un un po’ bislaccio, molto libero”. 

Il film abbraccia universi molteplici, quello religioso tra questi: “infatti è anche un film religioso, nel senso preistorico del termine. La storia di San Francesco, che non è palesata espressamente ma c’è, è stata ispirata da un libro per bambini di Chiara Frugoni, che mi aveva molto stregato perché non c’è dialogo o morale di Francesco al lupo, affinché l’animale sia buono, semplicemente gli si avvicina mentre il santo dorme e non lo mangia perché capisce che è in pace, che non gli farà del male. C’entrava con la vita del film e con il personaggio di Antonia (Alba Rohrwacher). Era molto difficile superare il momento in cui Lazzaro cade – precipita letteralmente – e forse solo staccandosi repentinamente e entrando in un’altra forma narrativa si poteva oltrepassare quel frangente, perciò ci è venuto in mente questo racconto. La dimensione spirituale quindi è molto importante nella sua concretezza, materialità: è un film spirituale ma anche fatto di corpi, di luoghi, di persone, di odori, di lavori”, cose molto umane, molto pragmatiche. 

La storia di Lazzaro Felice lascia sospeso il tempo, si percepisce essere presente, ma forse o non sempre strettamente contemporaneo, un tempo eterno a momenti: “Il mondo a cui facciamo riferimento – chiarisce la regista – è relativamente recente, del passato prossimo, anche se un po’ in tutto il film c’è una traslazione temporale. Il sistema della mezzadria in Italia è finito 36 anni fa, seppur feudale, medievale, quindi ricostruire questo tempo e questo mondo è stato possibile perché è una memoria recente. Siamo riusciti a ritrovare questi 54 contadini dell’Inviolata – la località in cui è ambientata parte del film -, contadini che adesso sono operai agricoli, però con una memoria. Dalla necessità di cogliere questo mondo in trasformazione, ho desiderato fare questo film subito, perché raccontare un film sulla fine della mezzadria si poteva fare adesso, o se no chissà quando”. 

Le radici delle sorelle Rohrwacher sono quelle agresti dell’apicoltura, per tradizione familiare, come già raccontato nel precedente Le meraviglie, e seppur Lazzaro Felice possa sembrare strizzare l’occhio a quell’universo: “Non c’entra niente con la nostra esperienza – ha affermato Alice Rohrwacher, parlando del mondo di Lazzaro – Sicuramente è un mondo la cui fine sono, e siamo, ancora riusciti a vedere”. 

Eppure il mondo di Lazzaro è Lazzaro. Lazzaro che sul grande schermo è l’esordiente Adriano Tardiolo, grandi e luminosi occhi celesti, esattamente quelli del suo personaggio, incantati e cristallini alla stessa maniera, che con delicata timidezza ha detto essere: “la prima volta che faccio un film. Con Alice ci siamo conosciuti per caso, a scuola, dove era stata a fare i provini, a cui non avevo però partecipato” e infatti “è stato un provino al contrario”, puntualizza la regista. “Chiara Polizzi, la casting director, ha incontrato Adriano a scuola, e quando gli abbiamo chiesto se volesse fare il film ha detto gentilmente ‘no, grazie’. Per convincerlo abbiamo iniziato a provare per un mese, alla fine poteva accettare o rifiutare e ha detto sì”. 

Ma chi sono quelli che oggi possiamo definire Lazzaro? “Parlare di Lazzaro – spiega Rohrwacher – vuol dire parlare delle persone che normalmente non sono mai messe in primo piano, ma sono gli ultimi della fila, pur di non disturbare. Nonostante questo film esprima fortemente il bene e il male, sia quasi una fiaba, i Lazzari, in tutto questo intreccio di bene e male, non hanno un giudizio su questo. Verso la storia c’è un giudizio, ma per fortuna Lazzaro non giudica chi ha davanti, ma ha una fiducia incondizionata nel prossimo”. 

Insieme a Lazzaro, personaggio particolare del film, quello della marchesa Alfonsina de Luna, interpretata da Nicoletta Braschi: “Ho cercato di passare alla marchesa il disgusto che sentivo e provavo per lei e spero che si senta che lei lo prova un po’ anche per se stessa. Sono molto grata ad Alice per avermi chiesto di fare questo ruolo da antagonista al bene di Lazzaro. È un personaggio che esiste perché le sue azioni crudeli hanno lasciato traccia in tutti i personaggi. È una cattiveria che ha distrutto la vita di tanti”. 

Personaggi che poi sono persone, i mezzadri, e quindi l’incarnazione del presente, un presente che è il mondo di oggi, in cui per forza di cose anche Lazzaro si trova immerso, fino alla violenza gratuita dell’epilogo: “Elsa Morante diceva ‘siamo passati dal primo Medioevo al secondo Medioevo’, quindi il film, per dirlo con le parole di un genio della nostra letteratura – dice ancora Rohrwacher – vuole raccontare il passaggio da un Medioevo di origine storica ad uno più umano, di disgregazione e lotte costanti. Tutto cambia e tutto rimane come è e Lazzaro Felice in qualche modo, per me, era importante fosse una storia classica, quasi melodrammatica, che poi potesse essere rotta. Per me è quello che è successo al nostro Paese: amarezze e bellezze c’erano e ci sono, ma con delle trasformazioni. Senza però voler dire – quando il lupo s’allontana dalla città – che bisogna adesso tornare alla campagna: il lupo corre, corre in salita… Credo che il significato di questa immagine ciascuno lo debba un po’ cercare per se stesso”. 

Un “se stesso” che nel caso specifico di Alice Rohrwacher è al femminile, profilo in questo momento cuore del dibattito pubblico, dentro e fuori dal cinema, sulla questione della tutela delle donne, che per la regista, in riferimento sia al tema che al film: “sono due fili paralleli, ma non sovrapposti. Noi abbiamo presentato il film, sia in quanto donne che in quanto persone: credo che la selezione sia una selezione di sguardi sul mondo e non una selezione di maschi e femmine come al bagno delle scuole elementari. Naturalmente sosteniamo, anche con Alba, questo tema: ieri è stata un’emozione reale e simbolica importantissima, 82 donne che rappresentano le 82 registe che nella storia del Festival di Cannes hanno presentato un film è un’immagine che parla e che va lasciata parlare…”. 

Lazzaro non è una storia nuova, come ha ammesso la stessa Alice Rohrwacher, e non voleva esserlo: “è una storia che ricorre, e credo però si possa raccontarle in modo differente” e a sostegno di ciò anche la chiosa sul lavoro tecnico del film, da parte della regista: “abbiamo lavorato l’immagine in full frame, che può sembrare una scelta data da ragioni estetiche, un po’ vintage, in realtà abbiamo deciso di non mettere un mascherino, perché non riuscivamo a mettere un mascherino su Lazzaro, e quindi abbiamo deciso di lasciare l’immagine aperta, con tutte le sue imperfezioni, con bordi più o meno aperti, perché questa apertura è stata la nostra esperienza nel fare questo film”. 

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13 Maggio 2018

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