L’arte di Banksy in Ucraina, sostanza per creare ricordi

L’intervista a Francesca Canto, sceneggiatrice del doc 'Arte vs Guerra – Banksy e C215 a Borodyanka' diretto da Michele Pinto e con la voce di Alessandro Sperduti, sezione Cinema & Realtà al Festival del Cinema Europeo


LECCE – 24 febbraio 2022, la Russia invade l’Ucraina. Borodyanka, 50 chilometri da Kiev, subisce una distruzione quasi totale.

Lì, nel cuore della desolazione, lo street artist francese C215 e l’artista Banksy portano il proprio messaggio di speranza. C215, con bombolette spray, crea prossimità artistica tra uccelli sulle pareti bombardate e carri armati russi; Banksy, conservando il suo tratto immediatamente riconoscibile e perennemente poetico, disegna una ginnasta in volteggio sulle macerie e un bambino che abbatte un gigante: la lotta di Davide contro Golia.

Alessandro Sperduti è la voce narrate del doc diretto da Michele Pinto, Arte vs Guerra – Banksy e C215 a Borodyanka, che ha preso vita in quel teatro di guerra ancora vivissimo e dove alcuni restauratori italiani sono arrivati su spinta volontaria, “sono partiti per vocazione”, nel nome della salvaguardia delle opere d’arte.

Il film è prodotto da Didi Gnocchi e Gloria Bogi per 3D Produzioni in collaborazione con Terzo Tempo Film, ed è scritto da Francesca Canto, che accompagna il doc al XXV Festival del Cinema Europeo.

Francesca, due elementi a contrasto: la guerra e l’arte, la bruttezza e la bellezza. Qual è la chiave che in scrittura è andata cercando per riuscire a far convivere questi due estremi?

Da una parte l’arte, che è bella anche quando riporta immagini terribili, e dall’altra la guerra, la cosa più brutta che ci sia: tutto nasce da queste opere di Banksy e C215, realizzate nel zone più colpite dell’Ucraina all’inizio del conflitto; la strategia che abbiamo trovato con 3D Produzioni è stata di raccontare il lavoro dei restauratori andati a soccorrere opere che hanno un valore sia morale, sia finanziario e, dall’altra parte, abbiamo raccontato le storie delle persone che stanno vivendo il dramma della guerra; quindi, attraverso le opere, ho cercato storie di persone che rappresentassero queste creazioni, ma altrettanto che fossero persone vive, reali, che stanno vivendo la tragedia. Così abbiamo scelto quattro opere, tra cui Da Vinci di C215, che rappresenta Dmytro Kotsiubaylo, combattente dell’esercito ucraino morto in battaglia a 27 anni, per cui volevo trovare una testimonianza diretta, e ho trovato un comandante del Reggimento Azov, suo caro amico, che mi ha raccontato la sua storia. Da Vinci perché? Perché questo giovane soldato amava dipingere ed è molto bello perché nell’opera c’è proprio un proiettile vero dentro la parete su cui è stato ritratto. Io, prima che documentarista, sono giornalista quindi, rispetto ad altri lavori fatti, è stata una bella sfida scrivere questa sceneggiatura, e in questo mi ha aiutata tantissimo Didi Gnocchi, grande giornalista e documentarista, adesso produttrice.

L’accostamento dei due poli ha permesso un’immersione tra buio e luce, simbolici naturalmente, qualcosa che crea poesia: cos’è per lei la poesia quando si parla di racconto visivo?

La cosa fondamentale, quando si scrive, e lo noto quanto guardo un doc di qualcun altro o anche un servizio del tg, è la descrizione, creare dei ricordi: quello che mi rimane sempre impresso è la descrizione di un momento, per cui rimarcare su determinati concetti fa la differenza. Il senso poetico nell’audiovisivo si connette all’idea del ricordo, della memoria e, soprattutto, in un prodotto di questo tipo, il ricordo è davvero fondamentale.

Banksy è un artista tanto pop, nel senso più nobile del termine, quanto sdoganato, insomma non è più un’eccezione imbattersi in una sua opera: lei e Pinto come avete valorizzato il suo potere penetrativo e altrettanto come avete cercato di schivare il prevedibile?

La cosa interessante sia per Banksy che C215 è che loro in Ucraina abbiano rappresentato la realtà, banalmente la ginnasta in equilibrio sembra raffiguri una vera ragazza uccisa a Mariupol, per cui c’è proprio la rappresentazione del reale: rispetto ad altre opere politiche di Banksy, lì è stato fatto un lavoro un po’ diverso, per cui, per la sceneggiatura, raccontare persone reali, che vivono la guerra, crea un filo di connessione molto forte con la guerra, che rende tutto concreto. Nel doc abbiamo intervistato C215, ovviamente non Banksy ma Gianluca Marziani che è il suo più grande esperto italiano, volendo dare anche spunti più tecnici sul lavoro, mettendo così insieme tanti elementi.

Il mostrare un lavoro di restauro può essere – se non semplice – immaginale, ma scrivere qualcosa di così materico, delicato, minuzioso, è come scrivere di una rinascita, dunque di una nascita. Quanta consapevolezza c’era in lei rispetto al fatto che stesse scrivendo la storia di qualcosa che nasce, con l’eredità del senso di morte alle spalle?

Tutto il doc gira intorno al senso di rinascita: ci sono tante cose che si possono raccontare della guerra in Ucraina, e tutti i giorni ascoltiamo i numeri… – e non i nomi… – delle persone uccise, sentiamo il numero di droni utilizzati, e che tipo di droni si tratti, però non si parla mai di chi resta, di cosa succeda dopo; la zona di Kiev del doc è un’area che è stata molto colpita all’inizio della guerra, poi piano piano è ricominciata la ripresa, delle persone, che hanno cominciato a vivere questa sorta di nuova normalità, per cui tutto si ricollega: per questa comunità, queste opere, il restauro, sono un senso di rinascita, ed è stato assurdo osservare persone che vivono un senso di guerra capaci di dare un valore così grande a delle opere; la comunità ha davvero capito il valore, ha collaborato con i restauratori per metterle in salvo, e loro sperano che un giorno si possa creare un museo che non riporti sono pezzi di carri armati o proiettili ma anche queste opere, testimonianza di quel che è successo. È stato bello vedere come tutta la comunità si connettesse a tutto, seppur molti non parlassero l’inglese, però la cosa interessante è stato capirsi, sempre e tutti.

Si chiama empatia.

Esatto, il valore dell’empatia è tutt’intorno a questo progetto.

Il film è un assalto tra due volti opposti dell’umanità: misurarsi con queste opere d’arte, scriverne una storia intorno, andare in un teatro di guerra, su cosa l’ha fatta riflettere rispetto all’essere umano?

I restauratori, anzitutto, mi hanno fatta molto riflettere, ricordo che si emozionassero, si siano messi a piangere quando hanno scoperto la ginnasta, una figura davvero in equilibrio sulle pareti di un palazzo bombardato, ed è incredibile come Banksy l’abbia realizzata, davvero su un masso traballante. Tornando al punto di partenza, alla bruttezza della guerra, credo che la cosa più interessante sia come noi esseri umani siamo capaci di adattarci a qualsiasi situazione e a normalizzarla: gli ucraini hanno normalizzato la guerra, come successo a me mentre ero lì, e altrettanto i soldati, e – ancora – tutte le persone che la guardano in tv dal divano di casa: questo è davvero qualcosa che mi ha fatta molto riflettere e, anche gli artisti, a modo loro, hanno voluto rappresentare cosa stesse succedendo e l’hanno fatto in modo differente; come dice nel doc Taras Lazer, documentarista e professore di italiano a Kiev, la cosa bella della street art e di quelle opere è la rappresentazione della sostanza e non della forma.

 

 

 

 

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