Jean-Yves Machond (Benoît Poelvoorde), un pittore concettuale la cui carriera si è interrotta bruscamente dopo una serie di insuccessi, decide di lasciare Bruxelles e il suo lavoro di insegnante per trasferirsi a Étretat (in Normandia, Francia), il simbolo per eccellenza dell’Impressionismo. Qui, è alla ricerca d’ispirazione per creare la sua opera principale che, una volta presentata al mondo, gli garantirà finalmente gloria eterna e riconoscimento. Il problema è che non ha idea di cosa voglia dipingere… finché non incontra un pittore figurativo e “bon vivant”, una persona ingenua e di buon cuore che, con la sua bonarietà, lo aiuterà a uscire dalla sua letargia, e la “fascinosa” Cécile de Mauprès (Camille Cottin), gallerista e manipolatrice che disturberà la sua concentrazione.
In concorso alla Festa del Cinema di Roma L‘art d’Être heureux del belga Stefan Liberski, commedia pensata per chi ama i film che sanno mescolare umorismo e riflessioni sui grandi temi della vita. Seguendo la scia di successi come Le Grand Bain e Les Émotifs anonymes, si rivolge a un pubblico vasto, appassionato di storie che mettono al centro personaggi imperfetti ma straordinariamente umani, alle prese con situazioni tanto divertenti quanto toccanti.
Speciale l’interpretazione fuori dagli schemi di Poelvoorde, capace di far ridere con autenticità, trasmettendo al contempo una profonda vulnerabilità. La sceneggiatura di Liberski, ricca di finezza e leggerezza, aggiunge una riflessione che colpirà chi è in cerca di un significato, soprattutto nel contesto artistico in cui i sogni di gloria si scontrano con le realtà quotidiane più semplici.
A metà tra la ricerca artistica e quella personale, il film dal tocco particolarmente umano promette non solo di far sorridere, ma anche di ricordare che la felicità non si trova necessariamente nei riconoscimenti esterni, ma nei piccoli piaceri della vita.
“L’arte – dice il regista – non è il tema principale del film. E’ un aspetto aneddotico. Penso che il film parli di realtà e irrealtà, la considero una commedia sull’irreale. Yves ha molti problemi con la realtà, mi piaceva l’idea di un personaggio chiuso sui suoi concetti, per questo ne ho fatto un artista “concettuale”, ma soprattutto è estremo, perché il suo oggetto è il nulla. E’ un film sul nichilismo odierno, pur restando su toni da commedia”.
E da dove viene, questo nichilismo? “Il mondo può diventare insopportabile – commenta ancora il regista – quindi si fugge nell’immaginario, nella finzione, o comunque in un mondo di pura immagine. Si sta con lo sguardo sempre sul cellulare, ci sono persone che tramite il telefono si danno appuntamento ma quando si vedono non fanno che guardare lo schermo, parlo anche di coppie e famiglie, e succede ovunque. A Roma, a Parigi, a Bruxelles. Sono stato a Firenze ed era pieno di turisti che fotografavano il battistero invece di guardarlo. Se parliamo di politica è un modo per assoggettare le persone nella maniera più capitalista possibile”.
Poelvoorde è veramente fantastico nella rappresentazione dell’artista alienato: “Il nostro lavoro – dice ancora Liberski – è iniziato prestissimo, già dalle prime fasi di sceneggiatura. Abbiamo fatto delle letture… avevo il cruccio che il personaggio risultasse poco empatico, poco toccante. Ma era, appunto, solo un cruccio, perché Benoit è riuscito a fare l’esatto opposto, usando il viso, le emozioni. Aveva le sue fragilità, ha fatto un vero e proprio tour de force”.
Cogliamo l’occasione per chiedere al regista come va l’industria nel suo paese: “Male – risponde – fare un film è sempre più difficile, lo stato interviene poco, non ci sono buone notizie all’orizzonte e posso dire che la situazione è catastrofica. Ci vogliono pazienza e passione. Sono anche uno scrittore e devo dire che con i libri è molto più facile”.
Sulle ispirazioni: “Ho visto molti film in passato, sono arrivato al cinema a un’età in cui mi sento libero dai riferimenti. Casomai è un problema del mercato: ‘fai una commedia ma parli anche di problemi sociali?’. A volte ti etichettano”.
Chiediamo, in chiusura, in cosa consiste “l’arte di essere felici” per un regista: “Schopenhauer ci ha scritto un libro intero. Il consiglio che darei ai giovani è di dimenticarsi di sé stessi. Siamo tutti troppo presi dalla nostra immagine e ci dimentichiamo delle relazioni con gli altri. Ma ad esempio, girare un film con una troupe è un processo catartici. Si sta tutti insieme verso un obiettivo comune e ci si comincia a dimenticare delle singole piccole esigenze. Quello è un momento di grande felicità”.
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