Larrain nella casa dei preti pedofili, lanciato verso l’Orso

"Mi affascinava il fatto che la Chiesa non crede nella giustizia civile, ma in quella divina, percio’ tende a gestire queste situazioni affrontandole internamente"


BERLINO – Applausi convinti e ottima accoglienza critica per Pablo Larrain, per la prima volta in concorso alla Berlinale con El club, che si prenota per un Orso importante. Talento sempre più consacrato del cinema cileno grazie alla potenza tematica ed espressiva di film come Tony Manero, Post Mortem e No, il regista ha scelto – di nuovo – una storia per stomaci forti con El Club, che osserva la quotidianità di quattro preti che vivono isolati in una casa sul mare, allontanati dal mondo esterno e, soprattutto, dalle atrocità che hanno commesso: dalla pedofilia alla connivenza col regime e alla vendita dei neonati ‘non voluti’ a famiglie ricche.

A dare voci e corpi a questa piccola, agghiacciante comunità reclusa nel suo esilio dorato e impegnata, più che a pregare, a scommettere sulle corse dei cani, ci sono Alfredo Castro (attore feticcio di Larrain), Jaime Vadell, Alejandro Goic e Alejandro Sieveking, accuditi da una suora (a sua volta allontanata per i suoi errori), interpretata da Antonia Zegers, moglie del regista. Il loro equilibrio viene rotto quando nella casa arriva un nuovo ospite, padre Lazcano, che si suicida sotto gli occhi di tutti quando il vagabondo Sandokan (Roberto Farias) declama pubblicamente i dettagli delle molestie da lui subite. Il rifugio, da quel momento, dovrà aprire le porte a un prete gesuita, mandato lì con la missione di capire cosa sia successo e poi chiudere la casa.

“Ho avuto una formazione cattolica – ha spiegato il regista in conferenza stampa – e ho conosciuto preti di grande valore, belle persone in cammino verso la santità, ma anche preti che sono finiti in carcere per i loro reati e altri che invece sono persi, sono stati nascosti e non sono stati puniti. Questi ultimi mi sembravano un soggetto interessante per la mia storia; cio’ che mi affascinava dal punto di vista narrativo era il fatto che la Chiesa non crede nella giustizia civile, ma in quella divina, percio’ tende a gestire queste situazioni nascondendole, o affrontandole internamente”. Drammaticissimo e allo stesso tempo venato di umorismo nero – “Fa parte del Dna del nostro Paese, e’ il modo cileno di reagire alla catastrofe” – , El Club esplora in modo raffinatissimo e complesso le dimensioni della colpa e della responsabilita’, del ruolo incombente del sesso nella religione e della Chiesa nella societa’, e lo fa con scene molto forti. In particolare quelle in cui Sandokan insiste ad elencare meccanicamente, e nei dettagli, gli abusi subiti da piccolo: “Mi affascinava – ha detto Larrain – che la vittima non avesse problemi a raccontare certe cose, per le quali io invece proverei vergogna. Ho parlato con diverse vittime di queste violenze, e loro raccontano i fatti cosi’ come vedete nel film, ripetendosi molte volte. Il film mette la vittima e i carnefici vicini, producendo questo effetto potente”.

Nonostante l’impatto devastante della sua storia, Larrain ci tiene a sottolineare che “Qui non c’è giornalismo, ne’ denuncia, io faccio il regista. Ma e’ interessante che la Chiesa abbia una sola, grande paura, quella dei media e del giudizio pubblico. Percio’ non credo che criticheranno direttamente il mio film: significherebbe fargli pubblicita”. Non a caso, in El Club, la grande minaccia sfoderata dai preti nei momenti di difficolta’ e’ “chiamo la televisione e racconto tutto!”.

Alfredo Castro, che veste i panni di un personaggio molto complesso, che accudisce il cane quasi come un figlio ed e’ molto consapevole dei meccanismi distorti della sua sessualita’ (“Io sono il re della repressione”, arriva a dire, riferendosi al controllo dei suoi istinti) sottolinea: “Negli ultimi anni la chiesa sta cambiando, sono stati fatti processi e parziali ammissioni. Il film riflette i cambiamenti, ma anche l’intreccio tra bene e male che fa parte della vita e del mondo”. Perche’, come dice Larrain, “Luce e tenebre non sono dissociabili. Questo Papa ha davanti a se’ una grande sfida e un’opportunita’ unica: quella di mettere mano a questa situazione”.

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09 Febbraio 2015

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