Matti da slegare. Non negli anni ’70 delle lotte di Basaglia e dell’antipsichiatria, ma oggi, nel Brasile che immaginiamo libertario e pieno di aperture e dove invece un ragazzo può finire internato nel peggiore dei lager psichiatrici perché fuma spinelli e risponde male al padre. Storia vera vissuta da Austregésilo Carrano Bueno, raccontata in un romanzo-confessione, Cantos dos malditos, trasformata in film che denuncia la mostruosità di un sistema con settantamila vittime.
Bicho de sete cabeças è l’opera prima della regista Laìs Bodanzky, che ha aperto un concorso con fortissime presenze femminili. Coproduzione italo-svizzera-brasiliana con la locarnese Fondazione Montecinemaverità e Fabrica (rappresentata qui da Marco Müller, non più padrone di casa ma ospite) e festeggiata da Italia Cinema con una cena.
L’incontro tra Müller e Laìs è avvenuto grazie al cortometraggio d’esordio Cartao vermehlo: “è la storia di una ragazzina in una squadra di soli maschi, che si fa rispettare prendendo tutti a calci nelle palle, già da lì si capiva il carattere di Laìs”, dice il produttore.
In Brasile ha avuto un grande successo di pubblico giovanile, questo film duro, costruito su una colonna sonora pop-rock. Ma anche successo di critica e pioggia di premi alla regista rivelazione, al protagonista Rodrigo Santoro, ventiseienne con una bellezza televisiva a coprire la grinta disperata che l’ha fatto scegliere anche da Walter Salles per Estacao das aguas; al montatore, l’italiano Iacopo Quadri. In Italia non c’è ancora una distribuzione, ma la presenza di Fabrica e Raicinema è un ottimo auspicio.
“Il libro – racconta la regista – è ambientato negli anni ’70. L’ho trasferito all’oggi perché volevo farne un grido di dolore, dopo quattro anni passati impegnata in gruppi di studio sul campo, sulla situazione manicomiale non solo in Brasile ma in generale nel Terzo Mondo, dove prevale la preoccupazione per altre emergenze, la miseria, la violenza nelle strade”. Ma queste cose, dice lo sceneggiatore Luiz Bolognesi, succedono anche nell’Occidente ipercivilizzato. “Per esempio, a Firenze, una donna ha trovato dell’hashish in camera di suo figlio e l’ha denunciato ai carabinieri”.
Bicho de sete cabeças – da una canzone molto popolare che dice “non fare un dramma di una cosa da niente” – è diventato il manifesto di un movimento antimanicomiale appoggiato anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità ma osteggiato da una classe medica conservatrice e ancorata anche a interessi economici. Tra i riferimenti il lavoro di Basaglia e l’inevitabile Qualcuno volò sul nido del cuculo. “Ma la realtà americana – spiega la giovane cineasta – non ha molto a che fare con la nostra e il mio non è sicuramente un film di intrattenimento ma un tentativo di svegliare lo spettatore”.
Però l’armamentario in scena è tristemente noto: elettroshock, torture, isolamento, infermieri violenti e medici assenti, overdose di farmaci, matti tenuti nudi a rotolarsi negli escrementi. In più un padre padrone che ha potere di vita e di morte, “per il suo bene”, sul giovane protagonista.
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