La “video overdose” di Antonio Campos


In una prestigiosa scuola del New England, Robert, uno studente introverso e tormentato, riprende per sbaglio la morte per overdose di due compagne più grandi, che conosceva a malapena pur ammirandone la bellezza. Le loro vite diventano soggetto per un video che, secondo il preside della scuola, dovrebbe aiutare l’elaborazione del lutto collettivo. Nonostante Robert abbia subito più di ogni altro l’impatto psicologico dell’incidente, proprio lui viene scelto per realizzare il progetto, per via della sua più volte dimostrata attitudine per il filmmaking. Ma la sua fascinazione viscerale per le immagini si converte presto in dolore e ossessione, mentre un’atmosfera di paranoia e malessere si diffonde tra studenti e insegnanti. Robert inizia così a capire di non potersi fidare di nessuno.

Questo il plot di Afterschool, film di Antonio Campos, già a Cannes nella sezione “Un certain regard” nel 2008, che sarà in sala dal 19 febbraio distribuito da Bolero Film.

Campos, 24enne di origine newyorkese, si è fatto le ossa cu corti e documentari, finché nel 2005 il suo short Buy it now ha vinto il primo premio al Cannes Film Festival Cinefondation. Un anno dopo è stato ammesso al Cannes Residence Program, dove ha iniziato la lavorazione di Afterschool.

 

“Oggi, più che mai, grazie al computer e ad Internet, siamo capaci di assistere, nella sicurezza delle nostre mura domestiche, a degli eventi straordinari e orribili – dichiara il regista – La gente è affascinata dai video, siano essi divertenti o violenti, poiché si collocano al di fuori della propria vita ordinaria. Ma ho voluto porre un occhio di riguardo su una comunità abituata a un’esistenza eccessivamente protetta che improvvisamente si scontra con la morte violenta, all’interno del suo stesso territorio”.

Appartenente al filone “ragazzi apparentemente normali che dentro celano oscuro malessere”, il film è un esempio di cinema sociale austero e disincantato, collocato tra Gus Van Sant e Michael Haneke, per riflettere sugli effetti morali che i nuovi media e i social network sortiscono, secondo l’autore, nella mente dei giovani americani.
Anche stilisticamente, si è da quelle parti, tra inquadrature inusuali, riprese amatoriali – realizzate con cellulari, videocamere e webcam – e lunghi piani sequenza.
“Come filmmaker – aggiunge Campos – la mia tecnica preferita è quella di lasciare liberi gli attori e di girare intere scene davanti alla camera, in un unico piano sequenza. E fare in modo che la scena, in questo suo dipanarsi, in modo quasi organico, abbia una sua autenticità, una sua perfezione nell’approcciarsi alla realtà”.

autore
15 Febbraio 2010

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