“Se io delirassi, mi strapperei le bende e allora scorrerebbe il mio sangue là dove deve, dentro questa terra di dolore. Questa terra di dolore! e nuda! che io volevo rivestire con i boschi sacri…”, scriveva il poeta Friedrich Hӧlderlin nel suo romanzo epistolare Iperione, frutto di più di sette anni di lavoro. Una riflessione del protagonista sulle proprie esperienze passate, alla ricerca di un perduto ordine dell’anima che ha smarrito il senso del divino e dell’armonia della Natura. Proprio come l’uomo moderno, che rimane sospeso, continuamente affascinato dall’ascolto, ma impaurito dall’impossibile comprensione, richiamato dalla distanza incolmabile che intercorre tra la parola e l’immagine, che si tradisce diventando arroganza umana del linguaggio, del possesso della sintassi. È un omaggio a Hӧlderlin il film di Fabrizio Ferraro La veduta luminosa, nella sezione Forum della Berlinale: il racconto del viaggio di una strana coppia, un regista scomparso da tempo, il signor Emmer, e l’assistente di un produttore assente, Catarina, che parte da Roma per raggiungere Tubinga, inoltrandosi nella Foresta Nera, alla ricerca dei luoghi del poeta Friedrich Hӧlderlin, in un viaggio preparatorio per un mai abbandonato progetto di film sul poeta. Ma le cose non vanno secondo i piani del produttore e durante il viaggio le ispirazioni si rivelano un ostacolo alla realizzazione di qualsiasi opera.
Un film che il regista Fabrizio Ferraro racconta come “una semplicissima storia, un semplicissimo incontro (d’amore) tra chi ha fallito perché soverchiato dall’impossibilità di controllare le immagini con la parola – il signor Emmer – e chi cerca di far emergere un dato nella magia del visibile, con un lavoro di organizzazione, costruzione – la giovane Catarina. Un avvicinamento impaurito e affascinato da questo loro voltarsi di spalle l’un l’altro. Un differente modo di stare, di essere presenti nella trasparenza dello zoo, dell’auto, della foresta”.
Un canto d’amore per la Natura, che si intravede, sofferente, attraverso il vetro trasparente di uno zoo, luogo pur da preservare secondo il signor Emmer, come forse ultimo custode di qualcosa che sparirà. Una Natura, non più casa divina, che ritorna anche attraverso le trasparenze di un altro vetro, quello della macchina che li accompagna nel loro viaggio verso Tubinga, da cui si scorge il mondo intorno, le strade, le montagne, offuscato dalla pioggia e dagli elementi, in un gioco continuo tra interno ed esterno, tra qui e oltre. Poi, il proseguire a piedi nella foresta, la zona libera da costrizioni, per assaporarne il respiro indefinito. Con gli animali che passano accanto e l’acqua dei ruscelli che dalla sorgente scorre incessante sulle pietre: ancora trasparenza da cui scorgere il senso della vita immediata che splende lontano da sé e che sfugge mentre si cerca di contenerla. Un luogo di luce sospesa in cui la divina dismisura si fronteggia con la misurabilità dell’ordine scientifico. “Non possiamo sapere se un uccello che canta, in gabbia o meno – dice il signor Emmer – per caso urli di dolore. La foresta è svariate potenziali foreste, possiamo concedergli una realtà determinata, lo status di oggetto, ma va oltre”.
Il film distribuito da Boudu-Passepartout, come i lavori precedenti di Ferraro, dopo Berlino sarà trasmesso in prima nazionale su Rai Tre-Fuori orario Cose (mai) viste alle 00.15 di sabato 6 marzo, per essere poi proiettato, appena possibile, anche nei cinema, nelle cineteche e nei musei. Prodotto da Boudu/Passepartout e Eddie Saeta con Rai Cinema, nel cast Alessandro Carlini, Catarina Wallenstein, Freddy Paul Grunert.
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