Un centinaio di pagine per dare una stilettata alla fabbrica dei sogni, filosofeggiare sull’ambiguità tra vero e falso, ironizzare sul Neorealismo e fare satira sui racconti a tema religioso. Da qualche settimana in libreria c’è Miracolo a Hollywood, una commedia teatrale (quasi) inedita firmata da Orson Welles. In originale si intitolava The Unthinking Lobster ed era stata pubblicata solo in Francia nel 1952 dopo la messa in scena, nel 1950 a Parigi, all’interno di uno spettacolo più ampio – The Blessed and the Damned – di cui costituiva la prima parte. Settanta anni dopo arriva ai lettori italiani grazie a Sellerio e a Gianfranco Giagni, che ne ha curato la pubblicazione e ha scritto un’interessante nota.
La storia si svolge, naturalmente, a Hollywood, quando “la città è stretta nella morsa di un ciclo di film religiosi e un regista neorealista italiano gira un film su una santa alla Bernadette che fa miracoli e cura gli infermi”. E poi succede che il suddetto regista, che di nome fa Alessandro Sporcacione, licenzia la diva ingaggiata per il ruolo della protagonista e la rimpiazza con la segretaria di un produttore degli Studios, più autentica e spirituale, che – miracolo! – fa davvero i miracoli. E i veri infermi chiamati sul set dal regista della “scuola italiana del semi-realismo” improvvisamente guariscono, i ciechi riacquistano la vista, chi non poteva usare le gambe si alza in piedi e getta le stampelle. Come quando “un’aragosta perde una chela e gliene spunta una nuova”, spiega serafica l’ex-segretaria promossa al ruolo di Sant’Anna.
Dopo il capolavoro Quarto potere (1941), come è noto Orson Welles ebbe un percorso artistico accidentato, pieno di difficoltà, imprevisti e ambiziosi progetti incompiuti o perduti. Questa piccola pièce satirica, uscita presto dai radar e mai pubblicata in lingua inglese, ne è un esempio. Eppure è un gioiello di invenzioni e sbeffeggiamenti, a partire dal titolo (della pubblicazione francese) che allude a Miracolo a Milano (e in qualche modo omaggia l’apprezzato De Sica). Ritrae una Hollywood in cui “c’è più richiesta di martiri che di ballerine” ma che, quando la finzione diventa realtà, si rammarica: “Eravamo una splendida copia di Babilonia e siamo finiti col fare concorrenza a Lourdes”. Una Hollywood popolata da Arciduchi, Arcivescovi e Arcangeli, da una giornalista famosa più interessata al cibo che alle notizie, da un agente di attori potentissimo e tentacolare. Una Hollywood in cui quasi tutti si spacciano per qualcosa che non sono. E dove ci si può vantare di essere “un impostore che conserva la propria dignità”, perché “questo a Hollywood fa la differenza”.
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