È di nuovo Palma d’oro per i fratelli Dardenne, sei anni dopo Rosetta. Sconvolgendo in parte le previsioni della vigilia, la “strana giuria” di Emir Kusturica ha consegnato il massimo premio del 58° Festival di Cannes ai due cineasti belgi per L’enfant, la storia di una ragazzo di strada troppo giovane per essere padre. Una piccola storia di emarginazione e di crescita che apre uno spiraglio di speranza nella visione lucidamente disincantata dei due autori, che hanno dedicato la loro seconda Palma a Florence Aubenas e agli altri ostaggi: i loro volti, per undici giorni, sono stati, sulla facciata del Palais, un monito a non dimenticare le drammatiche emergenze di un pianeta ancora martoriato da guerre e conflitti.
Così Hanna Laslo, l’attrice di Amos Gitai, ha dedicato il premio a sua madre sopravvissuta all’Olocausto, a tutti i sopravvissuti, ma anche alle “vittime di entrambe le parti, ai palestinesi con cui finalmente si comincia a discutere”. Free Zone, che l’Istituto Luce distribuisce in Italia, parla proprio di questo dialogo concreto, quotidiano, del riconoscere la lingua dell’altro attraverso il viaggio di tre donne tra Israele e la Giordania. Tema, in un certo senso, anche di Three Burials of Melquiades Estrada, l’opera prima di Tommy Lee Jones che torna a casa con un doppio riconoscimento. Alla sua bella faccia scolpita d’attore e allo sceneggiatore Guillermo Arriaga, il messicano di Hollywood, lo scrittore di 21 grammi e Amores perros, il motore del film. Questo l’ex MIB lo sa benissimo: i due sono amici, si parlano in spagnolo, amano sinceramente la cultura della frontiera e i vaqueros che passano il confine clandestinamente alla ricerca di una vita meno miserabile. A loro è andato il pensiero di Arriaga, che ha sventolato una bandierina del Messico facendo sorridere la giurata e connazionale Salma Hayek e rivelando: “E’ la prima volta che metto lo smoking”.
Tommy Lee Jones è una specie di erede di Clint Eastwood e i francesi, che da sempre adorano Clint, l’hanno subito adottato (Three Burials è coprodotto da Luc Besson). Ma il fantasma di Clint si aggirava sul palco di questa premiazione solenne ma sobria, seria ma non seriosa, una soirée come solo i francesi sanno fare. Tra i tanti divi internazionali che hanno aiutato Cecile de France a condurre il gioco, proprio i due attori oscarizzati per Million Dollar Baby, Morgan Freeman e Hilary Swank, è toccato di consegnare la Palma d’oro.
Niente Italia: Giordana deve accontentarsi del Premio Chalais e di buoni risultati al botteghino e al Marché. Ma tanta America. L’America che piace a Cannes, indipendente e d’autore, con il Grand Prix a Jim Jarmusch e al suo poetico ritratto di single fuori tempo massimo (Broken Flowers). Un premio che Jim ha dedicato ovviamente a Bill Murray ma anche a tutti gli altri registi del concorso in un tenero slancio di democrazia. “E’ stato un onore essere accanto a Hou Hsiao Hsien e Rodriguez, Egoyan e Cronenberg, Johnny Too e Tommy Lee Jones, siamo tutti parte di una stessa famiglia”. Meno entuasiasta Michael Haneke, l’austriaco maestro di manipolazioni, il regista-filosofo, che correva per i colori di Francia. Anche stavolta, come per La pianista, ha sfiorato la Palma per un soffio, raccogliendo consensi critici e vendite in tutto il mondo, salvo due paesi. Non è uno che lasci trasparire le emozioni, ma azzardiamo che ci sia rimasto male. Felice invece il cinese Wang Xiaoshuai (Prix du Jury) anche perché oggi è il suo 39° compleanno.
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