VENEZIA – “L’obbedienza non è più una virtù”. E’ una delle frasi simbolo del pensiero di don Lorenzo Milani, il prete scomodo che con l’esperienza rivoluzionaria della scuola di Barbiana, piccolo villaggio del Mugello in Toscana che divenne laboratorio permanente di coscienza, affermò con chiarezza il diritto allo studio e al senso critico per i figli di operai e contadini, quei ragazzi che nella scuola classista degli anni ’60 finivano quasi sempre per interrompere gli studi. Mentre da lui nessuno doveva restare indietro. Dell’autore di “Lettera a una professoressa” sono rimaste poche immagini, anzi nessuna. O almeno così si pensava fino a poco tempo fa. In realtà nel dicembre del 1965 un regista, Angelo D’Alessandro, salì per quella strada fangosa. Voleva intervistarlo perché era scoppiato lo scandalo dell’obiezione di coscienza dopo la sua lettera ai cappellani militari in cui parlava di non violenza. Ma l’incontro con don Lorenzo e i suoi ragazzi cambiò il punto di vista e gli obiettivi di quel cineasta di formazione cattolica. Raccolse una testimonianza destinata a restare unica, perché Milani aveva sempre detto di no a chi voleva riprenderlo e perché due anni dopo, il 26 giugno del ’67, sarebbe morto all’età di 44 anni. Sono le uniche immagini esistenti in cui don Lorenzo narra, parla e spiega.
Luce Cinecittà ha messo inoltre a disposizione immagini dell’Archivio storico, mentre altri materiali provengono, oltre che dal Fondo Angelo D’Alessandro, dagli Archivi della Fondazione Don Lorenzo Milani e privati, dalla Fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXIII e dal Centro Televisivo Vaticano.
“Mio padre – racconta Alessandro D’Alessandro – aveva una estrema discrezione nel riprendere che gli veniva dalla sua formazione neorealista, ma anche dal suo carattere schivo. Trascorse un giorno intero a Barbiana, dove era andato sperando di intervistare Milani sulla polemica. Era partito con la sua 16 mm, le bobine audio e un operatore”. Mangiò con loro e quando don Lorenzo gli chiese cosa volesse, fece a sua volta una domanda, chiese di Marcellino, quel bambino piccolo che non parlava e che stava sempre attaccato al priore. Fu a quel punto che il prete intuì che poteva fidarsi di lui. “Aveva cacciato giornalisti televisivi famosi, ma quella volta accettò di fare lezione davanti alla macchina presa e fu tanto disponibile da arrivare a dire messa per finta davanti alla macchina da presa”.
Di quei materiali andò in onda solo un breve servizio di 5′ trasmesso da un rotocalco Rai (Boomerang) e poi circolato in varie forme. Ora le riprese, preziose per capire chi era Milani e chi fossero i suoi allievi, formano un preciso ritratto dell’uomo e del suo magistero insieme alle testimonianze di tre figure chiave. L’insegnante Adele Corradi, oggi 92enne, sempre a fianco di Milani nella scuola, Beniamino Deidda, ex procuratore generale di Firenze, che dopo la morte di Lorenzo ha continuato a insegnare a Barbiana, don Luigi Ciotti, sacerdote vicino per spirito e sensibilità a quell’esperienza. “Rappresentano i tre pilastri della sua visione: scuola, Costituzione e Vangelo”, sintetizza D’Alessandro.
Milani all’epoca fu non compreso se non inviso dalla Chiesa ufficiale. Poi dimenticato e cancellato. Oggi Papa Francesco l’ha pienamente rivalutato, citando le sue parole e andando a pregare sulla sua tomba: “Vorrei poter diventare come questo prete coraggioso”, ha detto Bergoglio. “Oggi Milani si potrebbe dedicare a tante cose, magari ai migranti, come don Massimo Biancalani, il sacerdote che ha portato alcuni profughi in piscina suscitando reazioni violente. Ma soprattutto continuerebbe a occuparsi di scuola, a insegnare ai giovani a pensare”. E D’Alessandro ricorda che suo padre portò a Barbiana due film. “Aveva con sé La tragedia della miniera di Pabst e Ombre rosse di John Ford. Li proiettarono in 16 mm e, dopo averli visti tre o quattro volte, contestarono il film di Pabst perché era pieno di luoghi comuni e Ombre rosse perché stava dalla parte dei bianchi e non degli indiani. Erano così, mettevano tutto in discussione. Pensate che Milani fece portare via la televisione da Barbiana perché non si poteva fermare per rivedere le immagini”.
E non manca un accenno alle accuse lanciate, e poi ritirate, da Walter Siti, che aveva scorto in Milani una somiglianza con il suo personaggio di prete pedofilo: “Quando parla di amore per i ragazzi, dice esplicitamente, se si sta per cadere nella sporcizia, bisogna andare dove c’è ancora più povertà”.
Al Lido il film è stato proiettato come evento speciale alla presenza anche di Adele Corradi e di tre ex ragazzi della scuola. Michele Gesualdi, presidente della Fondazione Milani, così scrive di quelle immagini salvate dall’oblio: “Quella pellicola era un dono per noi ragazzi, per ricordarci del nostro Priore e della nostra scuola, della nostra storia di giovani uomini e giovani donne”. Mentre Adele Corradi dice: “Ho provato a dissuadere il regista a fare il film, perché don Milani è diventato un fossile, come Garibaldi, Mazzini e Cavour. E’ finito sulla Settimana Enigmistica. Eppure dopo aver visto Barbiana ’65 ho capito che era un veicolo per spiegare, a chi non c’era, chi fosse davvero. Non un fossile, non un santino, ma un uomo utile anche a noi oggi”.
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