La cacciata degli ebrei dalla cattolicissima Spagna di Isabella di Castiglia come radice delle guerre dei nostri giorni, del terrorismo e delle tante diaspore del presente. “Una metafora del nostro tempo, in cui politici e intellettuali riprendono l’idea che portò la crudele regina a eliminare ebrei, musulmani, zingari in un drammatico crescendo di espulsioni. E pensare che qualche cattolico integralista la vorrebbe santa”.
Pasquale Scimeca è protagonista ai Venice Days con La Passione di Giosuè l’ebreo, il film che domani sarà nelle sale con l’Istituto Luce e passerà anche in concorso al Festival di Toronto. “Marco Müller invece ha fatto marcia indietro dopo avermi detto che era un’opera potente, straordinaria, e che la considerava adatta alla competizione veneziana. Allo stesso modo ci hanno negato il contributo per la distribuzione, benché il film sia un fondo di garanzia, e non abbiamo trovato partner televisivi: il progetto ha collezionato una serie di difficoltà legate proprio ai temi affrontati”. Oggi però, a film visto, le comunità ebraiche e la Cei lo applaudono, considerandolo un importante tassello del dialogo tra le due grandi religioni. Mentre Scimeca, che solo pochi anni fa ha scoperto le sue origini ebraiche (da ragazzo sognava di farsi prete ed entrò in seminario), cita Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano Secondo come l’avvio di un processo che ha portato a sconfessare la tesi del popolo deicida.
La Passione, che ha come protagonista un ragazzo brasiliano, Leonardo Cesare Abude – e nel cast Anna Bonaiuto, Marcello Mazzarella, Franco Scaldati, Vincenzo Albanese, Toni Bertorelli – è dedicato ai sem terra. “I poveri della terra, come pure chi è straniero su questa terra”. Ma è anche un inno alla tolleranza: “Nella Spagna del 1492, alla vigilia della cacciata, ebrei e musulmani vivevano pacificamente, scambiandosi libri e idee. Nel Corano si esprime rispetto per i profeti della tradizione ebraica e per Gesù”. Studiare la cultura ebraica, racconta, l’ha riavvicinato “al Cristo che avevo amato”. Fino a immaginare che un ragazzo ebreo, il figlio di un rabbino, giovane studioso dei testi sacri da alcuni ritenuto il Messia, finisca per impersonare Gesù in una sacra rappresentazione del Venerdì Santo in un villaggio siciliano fino al punto in cui la recita diventa tragica realtà e la crocifissione si tramuta in Olocausto. “Non direi mai che Giosuè si sacrifica, perché non credo nell’eroismo, ma piuttosto nella capacità degli uomini di rispettare la propria dignità e rifiutarsi di divenire servi. In questo Placido Rizzotto è molto vicino a Giosuè”. Ma Scimeca rivendica anche l’ebraicità di Gesù. “Alla Chiesa di oggi mi sento di chiedere di affermare una volta per tutte che Gesù era ebreo affinché nessuno possa più perseguitare gli ebrei. Che era povero affinché nessuno possa più ignorare chi muore di fame. Che era straniero perché nessuno possa più cacciare lo straniero”.
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La redazione va in vacanza per qualche giorno. Riprenderemo ad aggiornare a partire dal 2 gennaio. Auguriamo un felice 2018 a tutti i nostri lettori.
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