BERLINO – La nuova, mirabolante avventura tra le invenzioni visive di Wes Anderson viene dalle pagine di Stefan Zweig, scrittore austriaco poco conosciuto, soprattutto in America. “L’ho scoperto recentemente – confessa il regista texano – e sono rimasto affascinato dalle sue storie e dalle sue memorie, che costituivano un’atmosfera perfetta per la vicenda mitteleuropea che volevo raccontare”. Ma nel Grand Budapest Hotel – che apre oggi la 64/a Berlinale e arriverà nelle sale italiane il 10 aprile con Fox – le influenze sono molteplici, da Suite francese di Irène Némirovsky a La banalità del male di Hannah Arendt, “fino alle commedie di Lubitsch, a Grand Hotel e Good Fairy“, dice Anderson.
Con un mood tra favola e cartone animato (in stop motion), questa girandola di vicende è incastonata tra le cime dell’immaginario paese alpino di Zubrowka, dove si staglia il coloratissimo Grand Budapest Hotel, ora quasi deserto ma teatro – nei movimentati anni ’20 e ’30 dell’avvento dei fascismi, con le minacciose “Zz” che imperversano – di amori, intrighi, dipinti contesi, morti misteriose e relativi testamenti. Al centro di tutto c’è il meticoloso concièrge Gustave (Ralph Fiennes), che riceve in eredità dalla sua matura amante (Tilda Swinton, irresistibilmente truccata per diventare molto più vecchia) un prezioso quadro rinascimentale e deve sfuggire alle mire del vendicativo figlio (Adrien Brody), nonché al carcere, con l’aiuto di Zero Mustafa (Tony Revolori), giovanissimo Lobby Boy che tratta come un figlio. La vicenda, tra inseguimenti, evasioni, bizzarri omicidi, viene raccontata ai giorni nostri dal signor Mustafa (F. Murray Abraham) – che da lobby boy è diventato proprietario dell’albergo – allo scrittore Jude Law. Accanto a loro un cast spettacolare, composto da Willem Dafoe, Jeff Goldblum, Harvey Keitel, Bill Murray, Léa Seydoux, Mathieu Amalric, Edward Norton, Tom Wilkinson, Saoirse Ronan, Owen Wilson, Jason Schwartzman.
Come in ogni film di Wes Anderson, anche (se non di più) in questo Grand Budapest Hotel c’è una vera e propria apoteosi del profilmico, in cui spiccano i costumi e un’incredibile e inventiva scenografia, oltre che una grande attenzione al formato cinematografico, che cambia tre volte 1:85, poi 2:35, poi Academy Ratio) assecondando il periodo storico raccontato. “No, non c’è il rischio che i dettagli e gli oggetti di scena si ‘mangino’ la storia – ha spiegato Anderson in conferenza stampa – Grazie a grandissimi professionisti come Milena Canonero ho semplicemente creato un mondo tutto particolare in cui poi sono i personaggi a muoversi e creare la narrazione”. Personaggi numerosi e ben caratterizzati, a tal punto che Tilda Swinton – che ricorda che la sua carriera iniziò proprio alla Berlinale, dove portò il suo primo film, Caravaggio di Derek Jarman) – suggerisce scherzosa: “Potremmo fare tanti sequel quanti sono i personaggi del film”.
Alla prossima edizione della Berlinale, 5-15 febbraio 2015, sarà presentata una retrospettiva dei film del regista, a cui il festival renderà omaggio. lo ha annunciato il direttore Dieter Kosslick
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L'Orso d'oro e l’Orso d’argento per l’interpretazione maschile vanno al fosco noir Black coal, thin ice di Diao Yinan insieme al premio per il miglior contributo tecnico alla fotografia di Tui na di Lou Ye. Un trionfo cinese a conferma della forte presenza al mercato di questa cinematografia. Importante anche l’affermazione del cinema indipendente Usa che ha visto andare il Grand Jury Prize a Wes Anderson per il godibilissimo The Grand Budapest Hotel. Il talentuoso regista ha inviato un messaggio nel suo stile: “Qualche anno fa a Venezia ho ricevuto il leoncino, a Cannes mi hanno dato la Palme de chocolat, che tengo ancora incartata nel cellophane, finalmente un premio a grandezza naturale, sono veramente contento”. Delude il premio per la regia a Richard Linklater che avrebbe meritato di più