La mente ignota di Donald Rumsfeld

Intervista con Errol Morris, regista del documetario 'The Unknown Known'


VENEZIA – “Esiste il noto noto. Esiste l’ignoto noto. Esiste l’ignoto ignoto. Ma esiste anche il noto ignoto, ovvero le cose che credi di sapere e che poi verrà fuori che non sapevi”. Questo arzigogolato e per lo più inconcludente gioco di parole dà il titolo al bel documentario di Errol Morris The Unknown Known, in concorso al Lido e in uscita in ottobre con la nuova casa di distribuzione I Wonder, costituito fondamentalmente da una lunga intervista a Donald Rumsfeld, Ministro della difesa di George W. Bush e principale architetto della Guerra in Iraq. La tecnica di Morris è basata cosidetti ‘fiocchi di neve’, ovvero l’enorme archivio di appunti e note che Rumsfeld ha scritto nei quasi 50 anni che ha trascorso al Congresso, alla Casa Bianca, nell’attività imprenditoriale e per due volte al Pentagono. Concentrandosi su questi memo, pieni di enigmi e contraddizioni, Morris tenta di districare la ragnatela di parole che abita la mente di Rumsfeld, parole che, scritte sulla carta, sono state in grado di trasformare il corso della storia degli Usa e del mondo.

Pensa che siamo vicini allo scoppio di un’altra guerra?
Spero di no, ma le guerre purtroppo ci sono state prima di Rumsfeld e ci saranno anche dopo.

Si è sentito a disagio nel confrontarsi con un personaggio dei quel calibro?

No, ma ho capito subito che avevo a che fare probabilmente con l’intervista più difficile che avessi mai condotto. Rumsfeld è praticamente il sogno di ogni cineasta, fa tutto quello che si vorrebbe che qualcuno facesse davanti alla cinepresa: parla estremamente bene, gesticola tanto. Ma io dovevo andare oltre la performance, non è stato un lavoro facile.

Con The thin blue line aveva direttamente contribuito allo scioglimento delle accuse per un uomo innocente che scontava una pena per omicidio. Con Rumsfeld ha sentito il peso del giudizio della storia?

Io non ero lì per giudicarlo, ma certo abbiamo affrontato temi d’importanza fondamentale. Si spera sempre di poter contribuire a cambiare le cose quando si realizza un film così, di portare le persone a riflettere sulla storia. La tendenza dell’essere umano è di dimenticare la storia, quindi penso che i ‘promemoria’ siano importanti. Nel film mi sono basato proprio sui promemoria e sui pizzini di Rumsfeld, collegati agli eventi di cui lui è stato artefice in modo diretto: anche se non erano la “verità”, riflettono perfettamente cosa lui pensasse e, soprattutto, cosa voleva che la gente pensasse lui stesse pensando. Erano l’immagine che lui voleva proiettare di sé stesso. Sono complessi da analizzare, ma sono anche un modo straordinario di accedere alla storia di quegli anni e di quegli eventi. Ho imparato molte cose del suo mandato di ministro della difesa. Anche spaventose. Il film inizia con lui che parla di Saddam e del presunto possesso di armi nucleari: dice che Saddam è pronto a uscire strisciando dalla scatola, che c’è pericolo che si doti di strumenti di distruzione spaventosi, che è importante stanarlo. Io stesso ho ricevuto molti ‘fiocchi di neve’. Durante l’intervista voleva che passasse il concetto che la politica di Bush era la stessa di Clinton. Cosa che ovviamente non è vera, dato che Clinton puntava al contenimento mentre con Bush si era sotto regime, con tentativo di inserire cambiamenti importanti. Mi chiedo oggi quanto la gente sappia di quegli eventi. Quel che lui voleva far passare, parlando di Saddam, è che la politica di Clinton era stata fallimentare.

Alla fine parla anche di Obama…
Mi sono chiesto più volte se inserire o no questa frase che io trovo straordinaria. Ho deciso di farlo e devo dire che col tempo che passa le sue dichiarazioni diventano rilevanti. Non parliamo solo dell’amministrazione di Bush, ma del ruolo dell’America nel mondo. Sono passati dieci anni dall’ultima guerra e stiamo parlando di partire con un nuovo intervento militare. Non dico che il militarismo sia sempre sbagliato, dico solo che bisogna considerare le conseguenze inaspettate della guerra. Perfino Rumsfeld lo ammette, per quanto ironicamente: quando vai in guerra, non sai mai cosa possa capitare: puoi andarci con le migliori intenzioni, pensando di aiutare le persone e fare il bene del mondo, e poi ti ritrovi invece a uccidere innocenti e a scoprire che invece hai contribuito a rendere il mondo un posto peggiore. Questo è quello che secondo me è accaduto con la guerra in Iraq e in Afghanistan. Nel 1821 il futuro presidente John Adams dichiarò che l’America non dovrebbe andare in cerca di mostri da distruggere all’estero.

L’impressione è che l’interlocutore usi le parole per cambiare il passato…
E’ una cosa che fanno tutti. Lui è solo l’esempio più potente, le sue parole sono state molto rilevanti, perché lui le usa per influenzare il giudizio degli altri. Usa le parole non per illuminare il senso, ma al contrario, per offuscarlo. Il titolo The Unknown known viene da questo: è stato lui a tirar fuori questo gioco di parole durante una conferenza stampa, mentre i giornalisti gli chiedevano chiarimenti circa le prove dell’esistenza di armi in Iraq. Non dava risposte, non ne aveva o non voleva darne, per cui tirò fuori questa sua pseudo-filosofia che era solo confusione e offuscamento, per creare false piste e non rispondere.

Pensa che questo film sarà più utile alla sua carriera o a quella di Rumsfeld?
Spero onestamente che la carriera di Rumsfeld sia definitivamente chiusa. Mentre spero che per me ci sia ancora un po’ di futuro.

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04 Settembre 2013

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