CANNES – “Lo scritto originale di Charles Péguy è stato la base per l’adattamento del film. Il mio Jeanne parla di religione attraverso una donna straordinaria, metafora di qualcosa di universale e contemporaneo; ho incontrato una piccola fanciulla capace di interpretare la bellezza, la giovinezza e l’innocenza”, ha detto stamattina Bruno Dumont al debutto in Un certain regard.
Un autore che s’è misurato con la dimensione teologica sin da quel La vie de Jésus (L’età inquieta, 1997), presentato proprio a Cannes, sezione Quinzaine, come ha ricordato il delegato Thierry Frémaux, presentando il film come “un punto di vista estremamente personale su un personaggio che ha concorso alla ‘grandeur’ della Storia”.
Jeanne per Dumont è anagraficamente la più piccola attrice che abbia interpretato “la pulzella d’ Orléans”: Lise Leplat Prudhomme, 10 anni, che qualche testata internazionale ha già definito “unica”. Lise possiede effettivamente un’intensità capace di gridare, anche nelle sequenze in cui si percepisce un lavoro di sottrazione dell’enfasi: entra in una dimensione d’incanto estatico durante alcuni lunghi sguardi rivolti al cielo tra preghiera e voce interiore, si mostra indomabile nell’eloquio che a Rouen la mette di fronte, unica bambina, unica femmina, al consesso maschile degli alti prelati dell’Inquisizione.
La storia della Jeanne di Dumont inizia l’8 settembre 1429, giorno della nascita della Vergine Maria: tra le dune di sabbia colorate da macchia mediterranea, Jeanne è alla guida dell’esercito francese contro l’inglese invasore, durante la Guerra dei cent’anni; come noto dai libri di storia, la vicenda termina due anni dopo con lei arsa viva sul rogo, 30 maggio 1431. Giovanna d’Arco dal 1920 è una santa della Chiesa cattolica, nonché patrona di Francia. Nata in Lorena da famiglia contadina, che fuggì dalla valle della Mosa verso Neufchâteau per sottrarsi alle devastazioni provocate dal conflitto che opponeva la Patria all’Inghilterra e alla Borgogna: fu in questo passaggio storico che Jeanne, dapprima mantenendo la più stretta discrezione, inizia ad assistere ad apparizioni sovrannaturali, “chiamata” per correre in sostegno del Delfino di Francia e futuro re, Carlo.
Il film di Bruno Dumont sceglie un approccio che si può definire “teatrale”, privilegia infatti una selezione di ambienti abbastanza ridotta, esterni come interni, e lì anima come “quadri”, talvolta quasi fissi dinnanzi alla camera da presa, in cui gli attori interpretano, con una recitazione spesso prossima alla narrazione, dove enfasi di tono e di mimica rendono il film un affresco dal ritmo statico, perché la parola s’imponga come protagonista, in forma di dialogo o di pensiero interiore della protagonista, e in qualche sequenza ricorrendo anche al canto fuori campo. Il prologo alla battaglia mostra subito anche il raffinato e sofisticato aspetto estetico del film, per il trionfo di costumi e coreografie: il ‘400 viene glorificato da un disegno impeccabile degli abiti e la preparazione alla battaglia permette a Dumont una cura della regia particolarmente studiata, soprattutto nelle riprese dall’alto in cui mostra, come un disegno dinamico sul terreno, “la danza” della scuderia pronta allo scontro, in un momento visivo che si prende tutto il tempo necessario a dare il giusto riconoscimento non solo alla sceneggiatura e all’interpretazione, ma anche alla bellezza della visione e all’esercizio registico come “scrittura” artistica.
In un’intervista a ‘Nice-Matin’ il sindaco David Lisnard ha parlato del museo del cinema di cui si sta parlando in questi giorni, e che dopo il consiglio municipale, avrà il via libera per il lancio ufficiale. Con un altissimo livello di esigenze. “Sarà eccezionale oppure non si farà”, dice il sindaco. Il nome ufficiale è “Museo Internazionale del Cinema e del Festival di Cannes”
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