TORINO – Nel 1943, dopo essere sbarcati sulle spiagge italiane, più di centomila giovani hanno perso la vita per liberare l’Italia dal nazifascismo. Una parte di loro riposa nei cimiteri italiani, ma molti altri risultano dispersi. Da oltre trent’anni Harry Shindler, veterano di guerra inglese sbarcato ventenne ad Anzio nel ‘44 nel corso della campagna anglo-americana, si è dato il compito di recuperare la loro memoria, storica e personale. Per non dimenticare, per dare un senso alla loro morte, a quei cimiteri così pieni di giovani, a quelle tombe senza nome o quei morti senza sepoltura. Un modo per aiutare a chiudere le battaglie personali dei tanti parenti di civili e soldati scomparsi. “È come se la mia guerra non fosse mai finita e non lo sarà finché continueranno a chiedermi di colmare quei vuoti”, racconta con estrema lucidità l’ormai novantacinquenne Shindler che da allora ha scelto di vivere in Italia. “Lo faccio per salvaguardare la memoria di uomini e fatti che hanno attraversato anni così importanti per la storia di tutti, ma anche per evitare che succeda di nuovo, che gli errori si ripetano. La guerra non finisce quando si firmano gli accordi di pace: soprattutto quando vado nelle scuole a parlare con gli studenti, mi rendo conto che è importante testimoniare e raccontare cosa è realmente successo, per evitare revisionismi storici e per far ricordare come erano quelle generazioni di “italiani brava gente” che rischiavano la vita per nascondere i soldati alleati”.
La sua storia è raccontata nel libro dell’economista di Repubblica Marco Patucchi, La mia guerra non è finita, e nel documentario di Bruno Bigoni che prende le mosse proprio da quel racconto, My War is Not Over, presentato al TFF (Festa Mobile). L’impegno di Harry è un modo per non cancellare i ricordi dei vivi disperdendo nel nulla il sacrificio di un’intera generazione, perché “man mano che passano gli anni la memoria si affievolisce e rende possibile un certo revisionismo, un certo modo deviato di raccontare la storia”, come sottolinea Marco Patucchi. “Ho sentito l’esigenza di raccontare la persona ma anche tutto ciò che rappresenta. Un uomo straordinario che con il suo lavoro ha contribuito ad alleviare la sofferenza di tante persone”, chiarisce Bruno Bigoni che spiega di essersi interessato al tema dopo essere entrato casualmente in uno dei ben trentasette cimiteri di guerra che ci sono in Italia. “Ciò di cui Harry Shindler si occupa è la memoria. Una memoria storica, che sovente diventa memoria personale. Lo fa per i figli e i parenti di questi uomini, ma anche per cercare di dare voce a queste morti e a ciò che ancora oggi significano. La maggior parte dei morti tace, non dice più̀ niente, ha già̀ detto tutto. Per questi caduti invece, non è così. Loro continuano a parlare. Per chi vuole ascoltare, ovviamente”.
Conosciuto anche come ‘il cacciatore di memoria’, Shindler cerca di ricostruire il passato facendo luce su casi e vicende irrisolte dell’avanzata alleata in Italia e al suo indirizzo continuano ad arrivare appelli, richieste di reduci o parenti che vorrebbero conoscere il destino di un soldato scomparso, trovare la sepoltura di un combattente al fronte, rintracciare un relitto. Lo fa per un debito di memoria, che svanisce se non si fissa in un segno. Nelle sue ricerche ha scoperto anche il punto esatto dell’ultimo combattimento di Eric Flechter Waters, il papà di Roger Waters, sottotenente dell’esercito inglese caduto in battaglia nel febbraio del ‘44 nelle paludi di Aprilia. Uno scontro fatale di cui Harry è riuscito a ricostruire la dinamica esatta, ma come ci tiene a sottolineare il regista, la cui vicenda è stata trattata esattamente come tutte le altre: “Harry ha risolto il caso senza sapere in realtà chi fosse il grande musicista, era interessato solo al mistero della morte del tenete Waters, una vicenda che abbiamo inserito nel documentario per la modalità di risoluzione e per l’impatto emotivo della storia, non certo per l’eco mediatico che poteva assumere”. Che il padre fosse morto in battaglia Roger Waters lo ha sempre saputo, e probabilmente proprio quel lutto ha influenzato la sua poetica introversa e malinconica dando vita a quelle struggenti ballate che hanno fatto la storia del rock psichedelico dei Pink Floyd. Quello che ignorava era il punto dove riposavano le spoglie paterne, un luogo sulla terra per onorarne la memoria. Una risposta cercata incessantemente per anni dal musicista a cui Harry Shindler, diventato nel frattempo suo amico, nel documentario dice con orgoglio: “Roger, per te la guerra è finita”.
Il bilancio delle presenze e degli incassi dell'edizione 2017 del Torino Film Festival è in linea con quello quell'anno scorso, a fronte della diminuzione del 20% dei film in programma e dell'abbassamento delle sale a disposizione da 11 a 8. Nell’edizione del 2017 si sono avute 63.000 presenze, 101.642 posti disponibili, 26.700 biglietti singoli venduti e 250.000 euro di incasso
Menzione speciale della Giuria e Premio Cipputi per il miglior film sul mondo del lavoro, a Lorello e Brunello di Jacopo Quadri, storia di due fratelli contadini che si occupano da sempre della fattoria di famiglia, lavorando tutto il giorno in armonia con la natura ma sotto la minaccia del mercato globale
Al TFF fuori concorso il documentario Pagine nascoste di Sabrina Varani, distribuito a primavera da Luce Cinecittà. Un viaggio nella composizione del nuovo romanzo di Francesca Melandri. Un viaggio alla scoperta di un padre, diverso da come si credeva. La scoperta inattesa di una memoria personale, che diventa memoria della nostra Storia. Del nostro presente
"La direzione del festival la considero un’esperienza molto positiva che sarei felice di continuare. Ma la decisione a questo punto spetta al Museo Nazionale del Cinema”, sottolinea Emanuela Martini nella conferenza di chiusura del festival che corrisponde alla scadenza del suo attuale mandato da direttore