VENEZIA – Un corpo militare fondato nel 1506, all’epoca di Giulio II, dal 500 anni al servizio del pontificato, immutabile e regolato da ferrea disciplina e cerimoniali perfetti, al cospetto delle innovazioni della Chiesa cattolica contemporanea, la Chiesa di Papa Francesco e delle dimissioni di Ratzinger. E’ L’esercito più piccolo del mondo, il documentario di Gianfranco Pannone a Venezia fuori concorso. La prima produzione del Vaticano (a parte La porta del cielo del 1945), realizzato dal CTV, il Centro Televisivo Vaticano, in coproduzione con Solares Fondazione delle Arti, Fondazione Solares Suisse, PTS Art’s Factory.
Ad accompagnare il regista – documentarista apprezzato di opere come Latina/Littoria, Il sol dell’avvenire e il recente Sul vulcano – ci sono due dei giovani interpreti (René e Leo) e un più anziano sergente Urs Breitenmoser, responsabile della comunicazione dell’arma. E sono proprio i due ragazzi, insieme a un terzo, Michele, i protagonisti del film. E’ una singolare operazione, L’esercito più piccolo del mondo. Infatti non è un’inchiesta su temi scottanti – ad esempio il delitto che coinvolse tredici anni fa proprio il comandante delle guardie e sua moglie oppure il suicidio di un caporale – come ci si potrebbe aspettare, ma una sommessa, quasi filosofica riflessione sulla scelta controcorrente di questi giovanissimi. Di diversa estrazione e cultura – René è uno studente di teologia, Leo un taglialegna, Michele un figlio di emigranti – poco più che ventenni, decidono di partire dalla tranquilla Svizzera per trasferirsi nella caotica Roma e prestare servizio per almeno due anni. Superano una difficile selezione (su 150 domande, solo una trentina vengono accolte a ogni tornata) e un addestramento speciale, faticoso, che comporta anche la necessità di indossare la classica divisa variopinta, che viene confezionata su misura, e la pesante armatura e sopportare lunghi turni di guardia in cui non accade mai nulla (ma potrebbe sempre accadere qualcosa di drammatico e i giovani alabardieri sono pronti a sacrificare anche la propria vita). E tutto questo in uno dei luoghi più belli e suggestivi del mondo, la Città del Vaticano, con i suoi immensi saloni, i giardini segreti, le porte che all’improvviso si aprono sulla meraviglia della Cappella Sistina.
Luoghi che il cinema ha spesso fantasticato, basti pensare a Habemus Papam di Nanni Moretti, ma dove le macchine da presa non sono in genere le benvenute. Un film di immagini in qualche modo rare, dunque, ma anche di parole: è soprattutto René, il filosofo del gruppo, a dare la sua voce al documentario con i dubbi che lo agitano e che affida al suo diario: “Che senso ha fare questa scelta? Chi siamo noi? Non è forse un teatrino anacronistico quello in cui siamo coinvolti?”, si chiede il ragazzo.
Tra i momenti divertenti e “leggeri” del film ci sono le apparizioni di Papa Francesco, sempre informale come ormai siamo abituati a vederlo. “La prima volta che l’abbiamo incrociato, negli otto mesi di riprese, si siamo avvicinati a lui con discrezione e lui ci ha salutati sorridendo – racconta Pannone – ho quasi avuto la tentazione di chiedergli di far finta di niente visto che stavamo girando”. E prosegue: “Il suo sorriso ti fa capire la sua umanità, un’umanità che ho incontrato più volte in Vaticano. Mi ero avvicinato da laico, con qualche pregiudizio e il timore di trovare delle barriere, di non avere libertà di movimento. Invece non è stato così e ho potuto restituire un’immagine meno stereotipata dello Stato pontificio”. Era proprio questo che gli aveva chiesto Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano all’epoca e ora prefetto della Segreteria per la Comunicazione, nell’offrirgli questo documentario su commissione. “Vogliamo sguardo laico e ad altezza d’uomo, nello spirito di questo papato”.
Ora L’esercito più piccolo del mondo è in trattative per una distribuzione sia in sala che televisiva. Il papa non l’ha ancora visto, ma dicono che lo vedrà. Sicuramente René e gli altri lo sperano.
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