‘La fortuna è in un altro biscotto’, dark comedy e psicologia dell’animo umano

Marco Placanica dirige la sua opera prima, dal 5 ottobre nelle sale italiane, prodotto e distribuito da Ahora! Film. Il lungometraggio è ambientato e girato in Liguria, Regione natale del regista: l'intervista


È una storia che nasce orfana e portuale, queste le caratteristiche di Leo (Manuel Zicarelli) – fratello di Giada (Daniela Camera) -, il cuore della vicenda, una dark comedy, opera prima di Marco Placanica: senza più il papà, Leo è disposto a tutto – ma proprio a tutto! – pur di non perdere l’attività del genitore, una bottega da rigattiere nei pressi del porto, stretta alla gola dallo strozzinaggio, tra il Ponente e il Levante ligure.

Marco, la sceneggiatura de La fortuna è in un altro biscotto è di Dario Aita e Ruben Marciano, il soggetto di Marco Tosti e Manuele Zicarelli: per lei, un’opera prima di pura regia. Come si è posto rispetto al maneggiare il contenuto di altri e quindi come ha profilato il suo ruolo dietro la macchina da presa?

È stata una bella sfida proprio per il motivo che ha citato, ovvero esordire nel lungometraggio ma con la scrittura di altri: era qualcosa che non mi sarei aspettato, qualche tempo fa avrei potuto rispondere che il mio primo film sarebbe stato anche scritto da me. Però, quando è capitata l’opportunità, non mi sono tirato indietro, anzi mi ci sono tuffato a capofitto, ed è stata una bella esperienza, soprattutto perché non è il genere di film che io avrei scritto, non che conosco così bene al punto da dire che certamente sarebbe potuta essere la mia opera prima, ma in questo trovo un fascino, cioè nel mettersi alla prova con qualcosa che non avrei pensato di fare, ma invece è successo. Sicuramente c’è stata un’influenza abbastanza precisa, da parte mia, sullo stile del film: scelte stilistiche e di partecipazione sulla messa in scena della sceneggiatura, per cui ho voluto calcare un pochino la mano sulla parte drammatica rispetto alla comica; ho voluto lasciar vivere la commedia grottesca, ma non calcare la mano appunto: in sceneggiatura c’era qualcosa di più della commedia, reference di visione che potevano far virare su uno stile alla The Office, mentre io – con il direttore della fotografia – sono stato abbastanza deciso verso una certa tipologia di estetica, pur essendo sporca e dura ma con una ricerca piuttosto precisa, che va un po’ in contrasto con l’idea iniziale, e mi rende felice aver lasciato anche un mio zampino, al di là del ‘diretto da’.

Perché la scelta di un titolo con un’evocazione così esotica? C’è una connessione di racconto con il personaggio di Paffone (Enzo Paci), strozzino e proprietario di un ristorante asiatico, ma…

…è una domanda difficile. Il titolo è stato discusso tra gli autori e la produzione, alla fine è uscito questo che si prende un po’ alla leggera; è stata una scelta un po’ al di sopra di me e ha avuto un lungo dibattito, tra autori che avrebbero voluto qualcosa che si prendesse un po’ più sul serio o comunque con un piglio un po’ differente rispetto a un titolo così, che tende abbastanza alla commedia, anche un po’ di più rispetto a quello che non sia poi il film, che offre altri spunti.

Questo film parla del tempo e del destino, del passato certo e del futuro tutto da definire, in mano all’incertezza determinata dall’ignoto e della morte: quando si è trovato in mano questi temi così giganti, come ha pensato di orchestrarli, per cercare di non farsi sovrastare?

​Io mi sono innamorato della sceneggiatura soprattutto per i voice over di inizio e fine, un po’ i ‘domanda e risposta’ del film, seppur aperta quest’ultima; è qualcosa che mi è piaciuto molto sin da subito, anche perché rintraccio in me come persona: discutere del fato, del destino, dell’ ‘intervento divino’ come lo definiamo nel film, è un tema che mi capita spesso di fermarmi a riflettere. Seppur non correttissimo a livello concettuale, quando si parla di morte metto insieme – per la messa in scena – un immaginario, come quello della rapina: ho cercato di trattarlo senza scimmiottare le grandi produzioni; per la rapina, abbiamo cercato di farne una dichiaratamente maldestra per non fare quella che sulla carta era più precisa e tecnica, ma decidendo di trattarla in maniera terra terra, senza fare ‘il film americano’.

Il film è anche una storia di provincia, in cui quest’ultima è un valore aggiunto, che esalta soggetti umani e corollario narrativo.

​La fortuna di questa questione è che io sia nato in provincia, in Liguria, nel savonese, a Ferrania, e quindi il territorio è stato un giocare in casa: è stato bello mostrare tratti di Liguria senza che fosse una cartolina; è una realtà di provincia ligure che non è detto venga raccontata: è più facile fermarsi al meraviglioso paesaggio ma è stato bello anche scavare oltre, dal molo abbandonato di Vado Ligure ai vicoli di Sampierdarena, realtà affascinante. È stato un caso che lo scritto fosse basato sulla mia Regione, ma ne sono felice anche a livello personale.

C’è una storia d’amore che ha qualcosa di shakespeariano, quella tra Federico (Simone Costa) e Virginia (Giulia Barbuto), figli dei poli di questa vicenda (Paffone, e il facoltoso collezionista Collini – Fabrizio Contri), ma oltre a loro c’è il personaggio di una ‘madonna pagana’, con gli occhiali da sole e la barba accennata: c’era già nello scritto? Qual è il valore simbolico e della messa in scena estetica?

​Sulla sceneggiatura, le indicazioni dell’estetica della statua erano già abbastanza precise, era stato già piuttosto definito il look del manichino, che è interessante lei definisca ‘personaggio’, è una chiave di lettura: io ho seguito la sceneggiatura e fatto in modo che rientrasse nell’estetica generale del film. La prima volta che vediamo la statua è nell’introduzione e accompagnata da un voice over: quando l’abbiamo letto, è stato uno dei momenti in cui abbiamo detto che quella sequenza meritasse una ricerca diversa, e credo che sia abbastanza riuscita.

È la sua opera prima da regista: ci sono delle caratteristiche autorali che si porta dietro dal pregresso di regie commercial e che riconosce come suoi marchi di fabbrica, scelte estetiche e/o tecniche che sa le appartengano e riproporrà anche in progetti prossimi?

​Sono un grande fan della macchina a mano, è un linguaggio che adoro, con cui sono cresciuto nel percorso registico; mi sto, ovviamente, ancora facendo influenzare da mille mondi diversi, ma dal punto di vista autorale vorrei scavare sempre di più nell’animo umano. Quello che mi sta piacendo tanto, anche nello scrivere in corso, è proprio cercare di scavare nelle sfumature delle persone, mi piacerebbe indagare la psicologia di determinati personaggi, anche comuni, ma da provare a raccontare con sfaccettature apparentemente non interessanti, ma penso che con un certo tipo di racconto e messa in scena possano essere molto molto interessanti.

La fortuna è in un altro biscotto, dal 5 ottobre nelle sale italiane, è prodotto e distribuito da Ahora! Film.

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04 Ottobre 2023

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