La febbre


F. VoloContro il mito piccolo borghese del posto fisso, Alessandro D’Alatri ci racconta la storia di Mario, un ragazzzo di Cremona che sogna di aprire un locale con gli amici ma finisce a fare il geometra in Comune finché…

La febbre, il quinto film del regista e il secondo con la complicità di Fabio Volo, già protagonista di Casomai, è prodotto da Rai Cinema e Rodeo Drive e arriva nelle sale il 1° aprile in 245 copie con la voglia di dimostrare che “il cinema non è un’industria di Stato, ma creatività e rischio”. D’Alatri, che stilisticamente è cresciuto girando spot e non dimentica il grosso pubblico, ha un’anima politica fuori dalle regole e dalle ideologie “per fortuna morte”. E nel film fa incontrare il protagonista con un presidente della Repubblica che ha il carisma di Arnoldo Foà : Mario gli restituisce la carta d’identità, vorrebbe rinunciare a un’Italia in cui prevalgono burocrazia, raccomandazioni e invidia per chi canta fuori dal coro, ma poi si lascia convincere a restare anche se a modo suo. “Carlo Azeglio Ciampi è un po’ co-sceneggiatore, perché la prima idea del film mi è venuta al Quirinale, dove ero andato per i David, e dove il presidente fece un discorso bellissimo sull’orgoglio, sulla speranza e sulle giovani generazioni”. Ma D’Alatri non crede nella politica come atto d’accusa. “Auspico una presa di posizione a favore di V. Solarinoqualcosa, non solo nel cinema ma anche nella realtà. La politica dovrebbe interessarsi ai problemi della gente… come disse Paolo VI nell’enciclica Popolorum Progressio, è finita l’era dei maestri, ora viviamo l’era dei testimoni”.

E’ un elogio del coraggio, quello che fa il cinquantenne regista con grande veemenza. “Da noi manca anche il coraggio di usare attori sconosciuti o inediti: in questo film ci sono, accanto a un cast giovane, interpreti maturi e bravissimi come Vittorio Franceschi, Massimo Bagliani e Gisella Burinato, senza parlare del ritorno di Cochi Ponzoni che fa il papà di Mario”. Poi c’è la bella Valeria Solarino, la cubista-poetessa di cui il protagonista s’innamora: “la poesia è bella – dice ancora D’Alatri – perché è muscolare, è tonica e non spreca tante parole”. Così cita i versi del premio Nobel Derek Walcott e fa una lunga carrellata di tombe di poeti, da Foscolo a Sandro Penna fino a Pier Paolo Pasolini. Anche loro padri della patria, come i partigiani. D’Alatri rende omaggio anche a loro. Ma dice anche: “Siamo passati dagli imprenditori come Giovanni Rana o Giovanni Borghi dell’Ignis ai manager di oggi che hanno sempre paura di sbagliare… e la paura non ti fa crescere”.

“Bisogna avere il coraggio di non piacere, di deludere qualcuno”, aggiunge Fabio Volo. “Anch’io, come Mario, sono un provinciale, di Brescia anziché di Cremona. Lavoravo in panetteria con i miei genitori, non studiavo e c’era sempre qualcuno che ti chiedeva: come mai non ti sei laureato? come mai non hai la ragazza? Adesso ho preso un’altra strada, tanto diversa che sui documenti non so che professione indicare: scrittore? attore? Alla fine l’impiegata del Comune ha scritto artista”.

autore
30 Marzo 2005

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