Arriva in sala il 25 ottobre con Academy Two, dopo essere stato in concorso alla Berlinale, La donna dello scrittore del tedesco Christian Petzold – tra i suoi film Barbara, Orso d’argento per la regia alla Berlinale del 2012 – un’opera che sceglie di ambientare nella Francia contemporanea una vicenda in realtà strettamente legata alla Seconda Guerra Mondiale, che si dipana a partire dalla Parigi occupata dai nazisti. Questo voluto anacronismo è il cuore politico del film, perché universalizza il plot portandolo in una sorta di mondo platonico delle idee e da lì calandolo di nuovo nel nostro presente, contrassegnato dal riemergere di spinte all’esclusione e all’espulsione, al controllo dei flussi migratori, al marchio d’infamia imposto a tanti esseri umani.
Il protagonista Georg, giovane ebreo “errante”, fugge da Parigi verso Marsiglia su un treno merci e si ritrova in mano i documenti del suo concittadino Weidel, un famoso scrittore comunista che prima di morire suicida aveva ottenuto il visto per il Messico. Nel bagaglio dell’uomo ci sono delle lettere a sua moglie e c’è anche un manoscritto: Georg eredita dunque l’identità del defunto grazie alla quale capisce di potersi mettere in salvo. Ma riuscirci non è così facile. Anche a livello psicologico. Nelle sue peregrinazioni, infatti, Georg ha incontrato una giovane donna, a cui si è immediatamente legato, e un ragazzo nordafricano, Driss, verso il quale sente una sorta responsabilità paterna.
Il film è tratto da un romanzo dell’ebrea tedesca Anna Seghers (Transito o Visto di transito, in Italia pubblicato da Mondadori) scritto nel 1942, un romanzo per certi versi autobiografico, che in una città mediterranea desolata e silenziosa ci mostra una folla di persone senza volto, di varie nazionalità, in cerca di riparo dall’avanzata tedesca. Christa Wolf lo definì “uno dei libri che s’innestano nella vita e che la vita non finisce mai di scrivere”.
Seghers, arrestata in Germania nel 1933, era riuscita a fuggire in Francia e da lì ad arrivare in Messico nel 1941 scrivendo poi la sua celebre trilogia composta da La settima croce, Transit e il racconto lungo La gita delle ragazze morte. Nella versione di Petzold la sua voce di raffinata narratrice ci viene restituita attraverso una voce narrante, a tratti affascinante, a tratti disturbante. Ottimi i due interpreti principali: Franz Rogowski e Paula Beer, due tra i giovani attori teutonici più convincenti ed “esportabili”.
“Lo spazio descritto da Anna Seghers nel suo libro è uno spazio orizzontale, uno spazio geografico, ovvero quello tra Europa e Stati Uniti – spiega il regista – Ci ritroviamo in una città portuale, e quindi tra la terra dove siamo e il mare su cui vogliamo viaggiare. Quindi in uno spazio di transito orizzontale. Ma penso ci sia anche uno spazio verticale, e questo è il tempo e le storie che si sviluppano al suo interno. E così non ci troviamo solo tra Stati Uniti ed Europa, o tra terra e acqua, ma anche intrappolati nel tempo di ieri e oggi. E così ho pensato: qualcuno ha mai raccontato qualcosa del genere al cinema senza trasformarlo in qualcosa di buffo?”.
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