David Grieco, giornalista, autore di programmi radiofonici e televisivi. Ma anche sceneggiatore e scrittore. È uno dei sette commissari governativi che scelgono le sceneggiature degne della definizione di “interesse culturale nazionale” e dunque del fondo di garanzia.
Come giudica questa massiccia campagna dei giornali contro i finanziamenti al cinema?
La stampa ha cominciato ad accanirsi quando hanno iniziato ad andar male, ma veramente male, anche i film commerciali, come Tifosi, La grande prugna, Il segreto del giaguaro, persino Il pesce innamorato di Leonardo Pieraccioni, che ha incassato un terzo dei precedenti. Ma a maggior ragione, dico io, è una fortuna che esista un finanziamento pubblico. È vero che il cinema dovrebbe avere un’industria forte, ma l’industria non c’è. Ci sono però produttori indipendenti che fanno film perché ci credono, film che hanno risonanza all’estero.
Invece una delle accuse è proprio che queste produzioni non varcano poi i confini dell’Italia. Questo non è vero. Noi dell’attuale commissione ci siamo insediati nel ’97. Ebbene, in questi tre anni, in qualunque festival, in qualunque sezione, hanno partecipato esclusivamente film finanziati da noi. Che poi l’esito non sia stato trionfale è un altro discorso. Non possiamo corrompere le giurie! Togliere il fondo di garanzia significa la fine del cinema italiano.
Qual è il vostro criterio di scelta e valutazione?
Molto ampio. I criteri sono difficili da stabilire. La commissione è composta da persone esperte e qualificate, che conoscono il valore di un film. Non si lavora più con l’alibi di una sceneggiatura tratta da un grande romanzo italiano o di un film in costume. Il copione deve essere valido in sé. Può anche essere commerciale, se meritevole. Se un giallo è profondo, perché no?
Cicutto, uno dei produttori di Preferisco il rumore del mare di Mimmo Calopresti, ha annunciato di voler rinunciare al finanziamento ottenuto. Accade, qualche volta?
In molti rinunciano ai finanziamenti. Radiofreccia abbiamo avuto il coraggio di farlo, poi Procacci ha trovato i soldi altrove e quelli del fondo non li ha presi. Stesso dicasi per Il testimone dello sposo di Pupi Avati. Rimane la patente, il riconoscimento dell’interesse culturale. Qui si potrebbe semplificare, mettere “con il sostegno di”. Spesso i produttori non usufruiscono del fondo, ma attingono a quello per la distribuzione, cui possono accedere tutti i film riconosciuti di interesse culturale.
Vi preoccupate, per la scelta, del possibile esito di un film?
No, se c’è poesia, se ha una qualità intrinseca, non ci deve interessare se poi non incassa una lira. L’errore sta nella condivisione di un rischio d’impresa da parte dello Stato.
Lavorate bene in commissione o avete avuti scontri?
Il rapporto è sempre stato molto positivo. Abbiamo lavorato bene. Le nostre differenze, anche politiche, si sono rivelate produttive. Il nostro è un lavoro duro. Quattro anni di mandato sono troppi. Ci si sclerotizza, leggendo 300 copioni l’anno. Il ricambio deve essere più frequente. Forse è vero che questa è una commissione troppo “culturale”, che ci vorrebbero più professionisti del settore. Ma avrebbero difficoltà a scegliere tra i colleghi.
Ci sono dei limiti nelle modalità di erogazione? E se ci sono, come si potrebbe migliorare la struttura del fondo?
Per fortuna che esiste il fondo. Però qualcosa andrebbe cambiato. Come il fatto che lo Stato concede fino al 90% del costo complessivo: è troppo. Non stimola il produttore a trovarsi il denaro anche altrove, quindi a incrementare l’attività imprenditoriale, a farsi venire idee, a coinvolgere altri nel progetto. Il secondo limite è che lo Stato concorra nel rischio d’impresa. È insensato. Forse persino anticostituzionale. Basterebbe il 40% e a fondo perduto. Come avviene in Australia. Il restante 60% deve essere raggiunto tramite coproduzioni, vendite, ecc. Discorso ribaltato però per le opere prime e seconde, per cui andrebbe garantito il 60%, perché promuovere un film di un esordiente è più difficile. Il resto il produttore se lo trovi da solo. Questo potrebbe stimolare creatività e intraprendenza della classe imprenditoriale cinematografica, intrappolata e impigrita dalla tv. E poi, meno lacci, il fondo di garanzia oggi è complicatissimo, annega nella burocrazia. Andrebbe modificato. Ed è una legge che potrebbe mettere d’accordo centrodestra e centrosinistra. Ci stiamo lavorando.
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