Nell’ambito della retrospettiva Visconti, la Scuola Nazionale di Cinema ha organizzato un convegno internazionale dedicato a il restauro e la preservazione dei film in Technicolor.
Alcuni dei grandi capolavori del regista celebrato sono stati prodotti con questa tecnologia (Senso, Il Gattopardo), in auge fra il 1934 e il 1974 ma ormai desueta. Restituire le grandi qualità visive dei film girati in Technicolor rappresenta quindi una sfida difficile al momento del restauro delle pellicole, a causa della complessità del processo originario di stampa e della scarsa reperibilità di strumenti (esiste solo un laboratorio londinese ancora attivo).
Strumento indispensabile si rivelano le tecnologie digitali, che secondo Friend rappresentano l’unica speranza per tramandare alle generazioni future il cinema.
Il trasferimento su hard disk di un film non ne annulla la specificità estetica? Non costituisce in sé una perdita?
Non è possibile ragionare in termini puramente estetici. Il problema è garantire la sopravvivenza di forme d’arte, espressione della nostra civiltà, come il cinema, che usano come supporto materiali la cui durata è limitata e in fondo sconosciuta. La pittura esiste da millenni e abbiamo imparato a salvaguardarla.
Il cinema invece ancora dobbiamo capire come salvarlo con certezza dal decadimento materiale.
Quindi non conta il supporto ma il contenuto…
Inutile arroccarsi su posizioni dogmatiche. Si deve salvare il salvabile. Sono convinto che la salvezza sia nell’acquisizione digitale. Salvo poi riversare i film su pellicola per una corretta visione, che comunque sarà sempre più elitaria. Il grande pubblico conosce i vecchi film solo dalla tv. Ovviamente, resterà la possibilità di offrire rassegne, come quelle appunto organizzate dalle cineteche o dai festival, per vedere un film nel suo stato il più possibile originale.
Quali sono gli ostacoli politici ancora da superare?
Le grandi produzioni, gli studios, sono molto collaborativi. A volte insorgono difficoltà nei rapporti con gli autori che hanno prodotto da soli i film e che ne conservano i diritti. A distanza di decenni, hanno ancora voglia di rimettere le mani al montaggio e trovano che il restauro di un’opera sia l’occasione giusta…
Sono sufficienti i finanziamenti disponibili?
Non basterebbero mai. L’Academy è un’azienda, sponsorizzata dalle televisioni. Per la cineteca possiamo contare su un fondo governativo e sulla Fondazione Scorsese, fondamentale non tanto in termini economici quanto politici e ideologici, perché garantisce forte risonanza alle problematiche in questione e dà fondatezza alle scelte artistiche che vengono compiute in cooperazione con essa.
L’Italia rappresenta indubbiamente un paese chiave. Nelle nostre cineteche sono custoditi film fondamentali per la storia del cinema. Siamo all’altezza di fronte alla sfida della conservazione di questo patrimonio dell’umanità?
La gara non è fra paesi, ogni tanto è più avanti la Gran Bretagna ogni tanto arretrano gli Stati Uniti, ma l’obiettivo resta comune. Di certo, va meglio di anni fa, oggi c’è un reale interesse da parte delle istituzioni italiane per i temi del restauro e della conservazione.
In questo momento, l’Italia è per certi versi più avanti di tutti, proprio nella elaborazione di una metodologia di intervento che contemperi le esigenze tecniche con quelle artistiche e storiche. Intorno alla rassegna organizzata dalla Cineteca di Bologna, Cinema Ritrovato, si è creata una sorta di “scuola europea” formata da tecnici e rappresentanti di cineteche, critici e direttori della fotografia, che hanno finalmente capito che le diverse categorie devono collaborare dialetticamente, che la casa brucia e ognuno deve fare la sua parte.
A Bologna tutti assieme sperimentano nuove metodologie di cooperazione e nuove tecniche. So che l’Unione Europea ha rifiutato di finanziare l’iniziativa e questo è un peccato…
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