VENEZIA – Un secolo ai suoi albori che già guarda al tramonto è al centro di Sunset, il nuovo lavoro di Lászlo Nemes, Oscar come miglior film straniero per Il figlio di Saul. In concorso alla Mostra, in sala con Movies Inspired, conferma le aspettative molto alte su un autore quarantenne ma dalla cifra stilistica estremamente forte e personale, capace di raccontare una storia senza davvero raccontarla e senza lasciare respiro allo spettatore. Così accade per la vicenda della giovane Irisz (Juli Jakab) che arriva a Budapest nel 1913 di ritorno da Trieste, dai confini meridionali dell’Impero austroungarico. Cerca lavoro come modista nel negozio più prestigioso della città, che si fa vanto di servire la casa imperiale, e dove la stessa imperatrice Sissi ha comprato dei cappelli. Solo che quel negozio, un tempo, era appartenuto ai genitori di Irisz, poi morti entrambi in un rovinoso incendio quando lei aveva appena due anni. Il nuovo proprietario, Oszkár Brill (Vlad Ivanov), inizialmente è recalcitrante, ma poi accetta di accogliere la giovane pensando che possa essere utile ai suoi commerci. Intanto lei scopre di avere un fratello, Kálmán, che si è macchiato di qualche oscuro delitto. Per Irisz è l’inizio di una ricerca ossessiva e notturna in una città piena di minacce e di trame, dove una sorta di società segreta sta cospirando contro l’imperatore. E in due ore e venti di durata il film non si ferma mai, adottando il ritmo febbrile e sconnesso della ricerca di Irisz e il suo punto di vista con una semi soggettiva sempre incollata alla sua nuca.
“Un secolo fa, dall’alto del proprio zenit, l’Europa si suicidò – dice l’ungherese Nemes – Questo suicidio resta un mistero ancora oggi. Come se una civiltà al suo apogeo avesse già prodotto il veleno che l’avrebbe distrutta. Al centro di questo film c’è questa ossessione, anche di natura personale”. Sunset, che è prodotto col sostegno del Torino Film Lab, termina infatti nelle trincee della prima guerra mondiale. “Le mie profonde radici europee – prosegue il regista – mi hanno spinto a farmi delle domande sull’epoca che stiamo vivendo e su quella dei nostri antenati: quanto possa essere sottile la vernice della civiltà e che cosa ci sia sotto. Nel nostro stato mondiale moderno e post-nazionale sembriamo scordare le profonde dinamiche della storia e, nel nostro sconfinato amore per la scienza e la tecnologia, tendiamo a dimenticare quanto ci possano portare vicini all’orlo della distruzione. Credo che viviamo in un mondo non troppo distante da quello che precedette la Grande Guerra del 1914.
Considera questa vicenda una metafora?
Non la vedo come una metafora, per me è del tutto reale. Certo il modo in cui Irisz vede il mondo è speciale, lei non è una donna banale o consueta, è un personaggio atipico, quasi pietrificata e allo stesso tempo spinta da un’energia fortissima e profonda alla ricerca di suo fratello. Tutti si aspettano che lei non si muova, che stia ferma, che obbedisca, ma non è così.
Lo stile del film è una scelta estetica o ha anche una necessità narrativa?
Volevo creare un mondo personale e soggettivo in cui immergere lo spettatore, in questo universo, come del resto nella vita, non si ha piena consapevolezza di quello che sta accadendo, non si ha la conoscenza precisa delle circostanze. I film storici tradizionali non mi interessano, volevo oltrepassare i canoni e codici del genere storico per dare agli spettatori la possibilità di scoprire ed esaminare assieme al personaggio ciò che accade. Non amo il cinema che spiega tutto.
Ma l’uso della macchina a mano, dopo Il figlio di Saul, potrebbe apparire quasi un vezzo stilistico.
Inizialmente non volevo la macchina a mano ma le inquadrature erano cosi complicate da non poterle fare con una camera fissa. Considero il mio stile un viaggio e non un cammino rigido, il film è un viaggio per me come voi. E comunque qui ci sono forti analogie di approccio con Il figlio di Saul.
La società segreta terroristica che vediamo in azione nel film si riferisce a eventi storici precisi o prefigura semplicemente l’attentato di Sarajevo che diede inizio alla prima guerra mondiale?
E’ pura finzione, però è altrettanto vero che in quel periodo c’erano molti gruppi politici, ideologici o anche artistici che si riunivano in segreto. C’erano persone spinte alla ricerca dell’ignoto, avvolte dal mistero. Alcuni di questi gruppi divennero modelli per il nazismo. Nelle strade buie di Budapest si agitavano forze di cui non si capiva l’evoluzione. Insomma, questa ricostruzione si muove tra realismo e leggenda.
Perché lei è così interessato alla nascita del XX secolo. Vede in essa i germi di un presente sempre più oscuro?
Dopo Il figlio di Saul sono tornato al crocevia in cui l’Europa poteva prendere due strade completamente diverse. Mi chiedo come siamo potuti arrivare da un mondo sofisticato e tecnologicamente avanzato al suicidio dell’Europa. Il XX secolo avrebbe potuto essere diverso. Il film indaga su questo mistero. Non so se le ho risposto…
Lei ha chiesto agli attori uno sforzo non indifferente.
E’ difficile per un attore sostenere la performance in una scena dove ci si muove di continuo, come si muovono i pianeti nella loro orbita. Tutto questo può creare insicurezza, e richiede una grande concentrazione. Io credo in un certo senso di fare il montaggio del film durante le riprese.
Ci sono scrittori che l’hanno ispirata nel ritrarre la società mitteleuropea al suo apice e subito prima del baratro della guerra? Penso per esempio a Musil e al suo grande romanzo L’uomo senza qualità.
Ho scritto in modo istintivo, ma ci sono scrittori che mi hanno ispirato, soprattutto Kafka e Schnitzler. In particolare in Kafka c’e questa guerra continua combattuta dai personaggi che non riescono ad affrontare la realtà e vivono un senso di disperazione tipico della Mitteleuropa. In Schnitzler trovo grandi questioni metafisiche e anche fisiche che non hanno risposta perché le interrogazioni sono più importanti della risposta. Ma oltre alla letteratura mi hanno ispirato l’arte, la fotografia, la pittura.
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