Di fronte al programma della 58° Mostra di Venezia e alla nuova suddivisione della varie sezioni, mi è tornato alla mente il paradosso del barbiere spagnolo, uno dei tanti problemi insolubili che ci offre la matematica. Ve lo posso spiegare poiché, per capirlo, basta l’istruzione elementare.
La questione sta nei seguenti termini. In un villaggio spagnolo il barbiere fa la barba a tutti gli abitanti fuorché a coloro che si radono da soli. Stando queste condizioni, chi fa la barba al barbiere? Non può farsrela da solo, perché non la fa a coloro che si radono da sé. Ma, se gliela fa qualcun altro, allora non è più lui solo a fare la barba a tutti gli abitanti.
Secondo il “Leonardo” (Enciclopedia delle scienze e delle tecniche) i più grandi intelletti hanno affrontato questo paradosso senza alcun successo. Pare addirittura che uno di loro, non potendo risolverlo, abbia dato di matto e sia stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico.
Lungi da me l’augurare al Presidente della Biennale e al Direttore della Mostra una fine analoga. Tuttavia è innegabile che essi si trovano di fronte ad un problema, la cui soluzione appare ardua, tanto quanto quella del barbiere spagnolo. E la continua modifica del nome e della funzione delle sezioni che di anno in anno vanno a comporre il programma, ne è la spia. Quest’anno la soluzione tentata è quella del doppio concorso: il primo riservato come al solito alla corsia che porta il nome di Venezia, cui viene aggiunto il numero d’ordine dell’edizione (quest’anno giunto alla rispettabile cifra di 58); il secondo alla corsia chiamata “cinema del presente”. Doppio concorso: doppia giuria. L’intento è chiaro: ovviare all’inconveniente che di anno in anno si fa più grave. Cioè dare visibilità anche ai film che non vengono presentati nel concorso ufficiale e che non appartengono alla eletta schiera della produzione hollywoodiana di successo, alla quale sta benissimo che Venezia funga da anteprima balneare di lusso.
Basterà il “concorso nuovo” (gli organizzatori preferiscono chiamarlo così, anziché “nuovo concorso”) a invertire la tendenza, a dare spazio sui media a 40 film anziché a 20, ciò che sarebbe già un bel risultato, anche se rimarrebbe pur sempre tagliata fuori quasi la metà dei 76 lungometraggi offerti dalla manifestazione, quella metà che viene presentata nelle altre sezioni? Per non parlare dei film inclusi nelle due retropsettive, negli “omaggi ai maestri”, nonché dei cortometraggi. Un programma che, per renderlo interamente visibile, occorrerebbe mobilitare al Lido tre critici per ciascun giornale e rete televisiva.
Perché qui sta il punto. Le uniche due soluzioni possibili sono: la prima, quella di dimezzare il programma, riducendo la Mostra ad una trentina, al massimo una quarantina, di film, in modo da renderli visibili tutti; la seconda quella di obbligare i media a moltiplicare i loro inviati. È facile capire che sono delle soluzioni utopistiche: la prima perché andrebbe contro le abitudini dei mangiatori di film, che costituiscono la linfa di Venezia, e verrebbero così privati della quotidiana grande abbuffata; la seconda perché cozzerebbe contro la volontà dei direttori e degli amministratori di giornali e reti, i quali – alla lettura del programma – desidererebbero semmai non mandarci nessuno, tanto i film che fanno audience secondo loro sono quella decina proveniente dall’America, pronti ad intervistare gli attori più popolari che ne compongono il cast.
Sempre dal “Leonardo” apprendo che il Premio Nobel Bertrand Russell è riuscito, non a risolverlo, ma ad aggirare il paradosso del barbiere spagnolo, grazie ad un sistema che si chiama la “teoria dei tipi” . L’Enciclopedia rinuncia a spiegarla perché troppo complicata. A maggior ragione ci rinucio io. Mi auguro solo che nella mente di Barbera si annidi un nuovo Bertrand Russell, capace di convincere critici, capiservizio e direttori che tutti i 140 film della Mostra sono bellissimi e meritano la stessa considerazione e che vederli tutti in undici giorni, per poi scriverne, rappresenta soltanto una gioiosa fatica.
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