Il documentario alla prova della sala. La sala commerciale non quella d’essai. Un’utopia che in altri paesi è pratica comune e che finalmente si tenta anche da noi, dove sempre più spesso nella non fiction si trovano pezzi di cinema innovativi e una narrazione della nostra realtà non omogeneizzata, anzi sorprendente, che ridà un senso al celebre monito agli sceneggiatori di Zavattini: “prendete il tram”. Un’immersione più che mai necessaria in momenti di cambiamento come quelli attuali in cui è importante conoscere la propria storia, anche per non ripeterla.
Si chiama “L’Italia si racconta” e nasce grazie all’accordo tra Anec Lazio e Istituto Luce Cinecittà (che per mission e vocazione è la casa del documentario) l’iniziativa che per ora coinvolge 17 sale della Regione, ma sarà esportata anche in altri territori, a livello nazionale. Sei film recenti, tutti applauditi nei festival, tranne uno, ancora inedito, saranno proiettati ogni primo martedì del mese per tutto il giorno. E non sono escluse le repliche all’interno del mese se il pubblico risponderà come si spera. Si parte il 5 marzo con Anija – La nave di Roland Sejko, che con splendido footage e molte testimonianze ricostruisce gli esodi dall’Albania all’inizio degli anni ’90 mettendo in campo la soggettività dell’autore, che fece parte di quella moltitudine di migranti. Sejko sarà all’Adriano di Roma per incontrare il pubblico la sera del 5. Gli altri titoli sono Terramatta di Costanza Quatriglio (il 2 aprile), straordinaria controstoria del Novecento per parole e immagini nel diario di Vincenzo Rabito, bracciante analfabeta siciliano, passato attraverso il fascismo e le due guerre mondiali non senza sporcarsi le mani. Il 7 maggio è la volta del film di Marco Bonfanti L’ultimo pastore, un film conteso tra grandi festival, da Tokyo al Sundance, dove vediamo Renato Zucchelli portare il suo gregge di 1.500 ovini in pieno centro di Milano, fino in Piazza Duomo, per incontrare i bambini di una scuola elementare che non hanno mai visto una pecora.
Il 4 giugno tocca a Monicelli La versione di Mario, autoritratto del maestro della commedia amara, attraverso le sue parole sempre caustiche, e anche qui molte immagini. Un film collettivo firmato da Wilma Labate, Mario Canale, Felice Farina, Mario Gianni e Annarosa Morri che tocca cinque aspetti della sua carriera “bulimica” (63 film): mestiere, origini, confidenze, ridere e politica. Ancora il 2 luglio Fabrizio Laurenti con Il corpo del duce, quasi un thriller sul destino incredibile delle spoglie di Benito Mussolini, capo carismatico in vita che non smette di affascinare (alcuni) anche da morto, soprattutto dopo la vicenda di Piazzale Loreto, dove un anno prima erano stati fucilati 15 partigiani e dove il suo cadavere fu esposto insieme a quello di altri gerarchi e di Claretta Petacci. Infine l’inedito di cui si diceva prima: Hitler e Mussolini. L’operà degli assassini del francese Jean-Christophe Rosé, prodotto da Marco Visalberghi, imperniato sul rapporto di amore-odio tra i due dittatori e sui loro incontri. Anche qui le immagini dell’archivio Luce giocano un ruolo fondamentale, per giunta integralmente colorate. Mentre “l’operà” del titolo, con l’accento sull’ultima alla francese, è tragica, ridicola e melodrammatica al tempo stesso. Come si vede gli intrecci tra memoria e mondo contemporaneo sono continui e gli esiti non banali.
Imprevedibili anche gli esiti di “L’Italia si racconta”, che vuole essere un primo passo verso un modello nuovo di sinergia tra la distribuzione e l’esercizio. Un modello che usa i social network per comunicare e grazie al prezzo popolare (3,5 €) sfida la crisi dei botteghini. “Il documentario è storicamente un genere sperimentale – sintetizza Rodrigo Cipriani Foresio, presidente di Luce -Cinecittà – con cui tutti i grandi registi cinematografici si sono misurati. Oggi, grazie alle nuove tecnologie digitali, è possibile rilanciarlo nelle sale, mentre stiamo lavorando a un’offerta di prodotto su i-tunes, un ulteriore passo per facilitare il consumo di cultura e azzerare la soglia di accesso”. Per Giorgio Ferrero, presidente di Anec Lazio, “questo può rappresentare il punto di partenza per altri progetti. L’obiettivo è far sì che il cinema documentario di grande interesse non resti negli archivi ma che, al contrario, possa arrivare al grande pubblico attraverso le sale che diventano così un mezzo per rinfrescare la memoria collettiva del nostro Paese”. Infine Wilma Labate, che esorta i cineasti a lasciarsi “stupire” dalla realtà. “Perché chi fa un documentario, per definizione, non sa dove arriverà alla fine del percorso”.
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