Nella stagione 2000/2001 che sta avviandosi alla conclusione, il cinema italiano ha manifestato alcuni segnali di ripresa, modesti sul piano quantitativo, più rilevanti su quello qualitativo. I dati statistici, infatti, indicano alcuni miglioramenti economici, il più rilevante dei quali è l’aumento della quota di mercato nazionale occupata dai film nazionali: rispetto all’analogo periodo della stagione precedente, la percentuale degli incassi dei nostri prodotti è aumentata di oltre 6 punti, avvicinandosi al 23%. Ma l’aspetto che, in questa fase, ha più positivamente caratterizzato il cinema italiano è la presenza di diversi film artisticamente e culturalmente validi, alcuni dei quali, assieme ai riconoscimenti critici, hanno ottenuto anche un sostanzioso successo commerciale. Ed è stato proprio questo successo a contribuire in misura consistente al raggiungimento di quella percentuale del 23% che, seppure bassa, ancora inadeguata a sostenere i livelli produttivi di un’industria realmente sana, è comunque indicativa, per come appare composta, di un diverso, e migliore, rapporto tra il cinema italiano e il pubblico italiano.
Nell’attuale stagione, infatti, per la prima volta dopo moltissimi anni, ben cinque film italiani di buona o di ottima qualità (in ordine di “uscita”: I cento passi; L’ultimo bacio; La stanza del figlio; Le fate ignoranti; Il mestiere delle armi) hanno fatto registrare incassi più che soddisfacenti, superiori persino alle più ottimistiche aspettative. Il consenso, di critica e di pubblico, ottenuto da questi film fa seguito all’exploit davvero straordinario di Chiedimi se sono felice, una simpatica commedia surreale, in cui forse c’è poco cinema, ma che comunque è riuscita, con il suo umorismo intelligente e originale, a collocarsi al vertice del box-office, distanziando di molto anche i più spettacolari prodotti hollywoodiani.
Contrariamente a quanto accadeva in passato, quando la maggior parte dei film campioni d’incassi apparteneva al dozzinale – e inesportabile – genere comico-natalizio (in questa stagione un solo prodotto di questo tipo, Bodygards, ha, come gergalmente si dice, “sfondato al botteghino”), la qualità è stata dunque più volte premiata, prefigurando così una nuova condizione della nostra cinematografia. Questo avvenimento, tanto positivo quanto significativo, suggerisce diverse domande, alcune delle quali si possono così formulare.
L’affermazione secondo cui il cinema italiano ha ormai ristabilito un colloquio con gli spettatori italiani è già comprovabile o è ancora azzardata?
Detto altrimenti, il fenomeno verificatosi è un episodio soltanto congiunturale o, invece, comporta anche elementi strutturali, quindi destinati a perdurare?
E ancora: si può presupporre che il successo di alcuni film italiani di qualità abbia anche un effetto di trascinamento? Ad esempio, Il mestiere delle armi, che certamente non è un film di facile consumo, deve i suoi notevoli incassi solo al fatto che è un bel film ed è stato selezionato per il concorso di Cannes, o si può anche supporre che adesso il pubblico italiano si fida di più dei film italiani?
Per ultimo: i film di qualità sopra indicati, pur diversissimi tra di loro per scelte tematiche, soluzioni formali, resa estetica, hanno anche qualcosa in comune che può servire a spiegare, almeno in parte, il loro successo? Al riguardo, e in via di ipotesi, si può ritenere che questi film piacciono al pubblico soprattutto perché raccontano delle storie e dei personaggi in modo diretto, coinvolgendo azioni ed emozioni, senza ricorrere a intellettualismi, ideologismi, funambolismi espressivi?
A queste domande, più delle teorizzazioni che tuttavia vanno tentate, potrà meglio rispondere nell’immediato futuro, e in concreto, lo stesso cinema italiano. E potrà farlo in modo tanto più valido e convincente quanto più saprà fare buona esperienza di quanto si è recentemente verificato, evitando che facili e immotivati trionfalismi possano occultare i molti problemi tuttora irrisolti. Da diversi anni, e da diverse parti, è stato spesso ripetuto che il cinema italiano è carente di identità, di competitività, di visibilità. Attualmente stiamo assistendo a un recupero, almeno parziale, di identità, comprovabile, oltre che dalle opere qui citate, da altre connotate, anch’esse, da ambizioni creative e da valenze artistico-culturali. Ma i nostri film, salvo rare eccezioni, sono ancora poco competitivi, sia in patria, sia, di conseguenza, all’estero; e insieme sono anche, nella stragrande maggioranza dei casi, poco visibili. In particolare, va ricordato che a soffrire dei processi di emarginazione, o addirittura di esclusione, dal mercato cinematografico interno sono anche molti film qualificati artisticamente e culturalmente; film che hanno meritato giudizi critici in netta prevalenza favorevoli e hanno anche rappresentato il nostro cinema nei maggiori festival internazionali (mi limito a segnalarne, tra i molti che potrei indicare, almeno tre: Placido Rizzotto di Pasquale Scimeca presentato a Venezia, Domenica di Vilma Labate presentato a Berlino e Domani di Francesca Archibugi presentato a Cannes). Ebbene, per una serie di motivi, questi film non hanno avuto la possibilità di incontrare tutto il loro pubblico potenziale, quel pubblico, cioè, ben più numeroso di quello consentito dai meccanismi di un mercato ancora troppo “chiuso” dall’invadenza del cinema hollywoodiano e dal duopolio Cecchi Gori/Mediaset che, appunto, condizionano pesantemente “la libera circolazione delle opere cinematografiche”.
Ora, per rimediare a questo stato di cose, è più che mai necessario l’intervento della politica cinematografica: una politica cinematografica che sia anche una politica culturale, e che tra i suoi obiettivi prioritari si ponga appunto quello di promuovere, assieme alla libertà della cultura (cinematografica), l’accesso alla cultura (cinematografica). Che l’esigenza di adeguate iniziative politiche sia tuttora persistente lo possono dimostrare proprio quei film di qualità che hanno riscosso un insperato successo commerciale, e che, a causa di ciò, potrebbero far credere, erroneamente, già avvenuta, per effetto spontaneo della “legge del mercato”, la guarigione dei mali che per lunghissimi anni hanno segnato il nostro cinema. Al contrario, se si presta bene attenzione, oltre che ai valori espressivi di questi film, ai loro modi di produzione, si può constatare che la loro realizzazione è stata possibile dall’apporto determinante o del Fondo di garanzia, o di RaiCinema o dell’Istituto Luce, o anche, e non raramente, dalla compresenza di queste diverse istituzioni pubbliche; si può constatare, insomma, che è stata essenziale la disponibilità di strumenti creati da una politica cinematografica finalizzata alla produzione di cultura cinematografica. Ma adesso sono necessarie nuove iniziative politiche per creare altri strumenti che, armonizzandosi con quelli già esistenti (alcuni dei quali, come il Fondo di garanzia, dovrebbero peraltro essere modificati nelle loro modalità di funzionamento per migliorarne l’efficacia), possono rimuovere gli ostacoli tuttora esistenti nei settori della distribuzione e dell’esercizio, appunto per aumentare le possibilità di visione dei film italiani, e specialmente di quelli artisticamente e culturalmente più avanzati che, però, hanno in partenza minori chances commerciali.
In tal senso, dovrebbero coesistere diverse opzioni e diverse linee operative, una delle quali potrebbe consistere nel progettare e attuare l’ampliamento, su tutto il territorio nazionale, dei cosiddetti mercati di nicchia, allo scopo di soddisfare in misura sempre più crescente la domanda culturale dei diversi pubblici. In altri termini, anche nei settori della distribuzione e dell’esercizio, lo Stato dovrebbe fare quello che ha fatto, con interventi diretti o indiretti, in quello della produzione, vale a dire: dovrebbe incentivare e sostenere finanziariamente le attività, pubbliche e private, che possono accrescere e migliorare la socializzazione di cultura filmica. Ne deriverebbero vantaggi cospicui: si darebbe un maggiore equilibrio interno al ciclo economico (produzione, distribuzione, consumo); si favorirebbe una sempre maggiore differenziazione dell’offerta filmica; si garantirebbe maggiore visibilità e competitività al nostro cinema migliore, valorizzando al contempo la nostra rinnovata identità culturale. I ritardi e le anomalie ancora riscontrabili nel cinema italiano, così come, per altro verso, anche le sue recenti risultanze positive, dovrebbero spingerci a verificare se sussiste una volontà politica orientata in questa direzione, o se invece bisogna impegnarsi affinché se ne avverta l’importanza e l’urgenza.
(Bruno Torri è il presidente del Sindacato critici, SNCCI)
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