L’Inferno virtuale nella chatroom di Nakata


È risaputo: agli adulti le diavolerie tecnologiche fanno quasi paura. Come le “chatroom”, confessionali a più voci resi popolarissimi dalla Rete che sono il luogo privilegiato di dialogo degli adolescenti in cerca di conforto dalle asperità della vita e spiegazioni alla propria fragilità. Lo sa bene il giapponese Hideo Nakata, che di diavoli, spiriti e cose paurose se ne intende (è diventato famoso con The Ring, tremebondo ghost-movie che ha ridefinito i canoni del genere horror un paio di lustri fa).

 

Oggi realizza appunto Chatroom, presentato alla sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes. Il film è ambientato nell’Inghilterra dei giorni nostri, ma è in realtà assolutamente “globale” come si conviene a un racconto che ruota intorno alla fascinazione e al pericolo di Internet.

La scommessa è quella di dare evidenza visiva ai dialoghi della stanza virtuale di William, ragazzo problematico nella vita quanto sicuro di sé davanti a un computer, nonché figlio insofferente di una scrittrice di successo che ricorda molto da vicino la JK Rowling di Harry Potter. Ma l’alter ego virtuale di William ha ben poco del timido maghetto: con lo pseudonimo di Ripley ama infatti manipolare le coscienze più fragili. Scelti quattro bersagli a caso (l’amorosa Eva, la timida Emily, il complessato Jim e il fragile Mo), comincia un paziente lavoro di scavo nelle loro psicologie.

 

A parole vuole la loro felicità, in realtà vuole portarli al dolore, alla prostrazione e al suicidio. I genitori sono assenti, assistono impotenti e hanno le loro colpe. I figli sembrano non sapere dove sbattere la testa, il fascino sordo del suicidio e del dolore stanno in agguato.

Nakata ci mette di suo un morboso e suggestivo avvicinamento al tema del suicidio assistito (di grande attualità nella società nipponica).

autore
15 Maggio 2010

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