L’aria salata del carcere


È passato in concorso alla Festa di Roma L’aria salata, opera prima di Alessandro Angelini, prodotta da Donatella Botti (BiancaFilm) e Rai Cinema, in uscita nelle sale il 5 gennaio con 01 Distribution. Presentato oggi a Roma il film è un esordio che aveva destato l’interesse anche della Settimana della critica di Venezia, ma che si è deciso di lanciare proprio a Roma, la città dove è girato (tra l’altro con alcune scene proprio al Villaggio Olimpico, a pochi passi dall’Auditorium di Renzo Piano). “Sicuramente mi è dispiaciuto non andare a Venezia, ma la produzione ha calcolato i rischi e alla fine è stata una grande vittoria essere in concorso in un festival come questo, accanto a Otar Iosseliani”, dice il giovane regista. Mentre Giorgio Pasotti, protagonista di questa intensa storia d’amore tra un criminale e suo figlio, aggiunge: “La Festa è la giusta collocazione per un film così, perché la sua visione è legata al pubblico, mentre spesso i festival sono rivolti a un’èlite”.

L’aria salata ha per protagonista Fabio, un educatore che lavora in carcere. Molto giovane, ma già piuttosto maturo, è profondamente coinvolto in quello che fa, anche se maschera la sua fragilità dietro una corazza di rigore e serietà. In realtà sta cercando di venire a capo della sua storia personale perché, vent’anni prima, lui e sua sorella (Michela Cescon) persero il padre, condannato a trent’anni per omicidio. Oggi quell’uomo (Giorgio Colangeli) è un detenuto coriaceo che dice di soffrire di epilessia, ma forse sta cercando uno stratagemma per evadere. “Il film – racconta Angelini – nasce dal mio impegno con l’associazione Volontari in carcere, un gruppo fondato da don Sandro Spriano e attivo da vent’anni a Rebibbia. Ma all’osservazione della realtà dei detenuti ho aggiunto, insieme allo sceneggiatore Angelo Carbone, una riflessione sulle famiglie dei carcerati, costrette a scontare la condanna da fuori attraverso una privazione affettiva”.
È il rapporto tra padre e figlio, insomma, a interessare il giovane cineasta, che ama Ken Loach e che con il documentario Ragazzi del Ghana ha vinto un premio al Torino Film Festival 2000. “Rispetto al classico film carcerario, ho scelto la dimensione privata, perché credo che sia interessante mostrare il ribaltamento di ruoli tra padre e figlio, con il ragazzo che si sostituisce al genitore e che si trova quasi a doverlo educare”. Pasotti, che presto vedremo anche nei film di Maurizio Sciarra (Quale amore) e Mario Monicelli (Le rose del deserto), aggiunge: “Fabio verso suo padre nutre rabbia e un senso di vergogna, ma ha dentro di sé anche il bisogno di un rapporto mai vissuto. C’è una frase che pronuncio nel film che mi è rimasta addosso ‘come si fa a crescere senza essere mai stato in braccio a tuo padre?’. Fabio sente questa necessità di essere figlio come un’implosione di sentimenti che non riesce a esternare”. Interviene Giorgio Colangeli, dando voce alle paure di un’altra generazione: “Un padre può essere assente anche in una dimensione meno drammatica. Magari ha trascorso anni nell’illusione di avere un rapporto con suo figlio per poi rendersi conto che è cresciuto e che non lo conosce più. In più, in questo caso, il mio personaggio è stato vent’anni in galera: ha bisogno d’aiuto persino per attraversare la strada”. Il film è stato girato in un penitenziario dismesso in provincia di Pistoia, dopo che il ministero di Grazia e Giustizia ha negato l’autorizzazione a entrare con la macchina da presa dentro Rebibbia, benché il direttore del carcere fosse d’accordo. “Alla fine è stato un no che ci ha aiutato, perché non abbiamo avuto problemi di zone inaccessibili o di permessi”, dice ancora Angelini. Consapevole che la durezza della prigione è fatta di pestaggi e situazioni esplosive, che però ci tiene a dire non sono la regola, ma anche di problemi più quotidiani: “A volte non c’è nessuno che ti porta il sapone, la carta igienica o le ciabatte; nessuno che ti scrive una lettera”.

Infine Giorgio Pasotti ha voluto unirsi al cordoglio per il terribile incidente avvenuto nella Metro A di Roma. ”Appena saputa la notizia, poco prima della conferenza stampa, ci siamo ritrovati nella posizione scomoda ma doverosa di dover contenere la nostra felicità, che è tanta, per come è stato giudicato il film. Naturalmente quando ho saputo dei morti e feriti sono rimasto molto colpito. Questo pomeriggio per la proiezione ufficiale non sfileremo in passerella e abbiamo annullato anche la festa che avevamo organizzato. Ma la proiezione ci sarà comunque perché è giusto andare avanti”.

autore
28 Dicembre 2006

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