TORINO. Nella Striscia di Gaza Antar ama e canta il rap che non può essere praticato in pubblico; Jabber coltiva il suo campo a un passo dalla frontiera armata israeliana; Noor si trucca ed è una giornalista televisiva amante dei social network; Moemen ha perso le gambe mentre fotografava un bombardamento israeliano e tuttora lavora sulla sedia a rotelle; i ragazzi del Parkour Team si esercitano in salti e piroette nel cimitero e negli edifici distrutti dal conflitto; Salem è un allenatore di calcio ma i cambiamenti politici a Gaza hanno interrotto la sua carriera nella nazionale palestinese; Fatimah è una nomade che un tempo si muoveva con il suo gregge ed ora non può uscire dalla Striscia.
Sono i protagonisti di Striplife, in concorso a Italiana.doc, il film collettivo autoprodotto per la regia di Nicola Grignani, Alberto Mussolini, Luca Scaffidi, Valeria Testagrossa e Andrea Zambelli. Distribuito da Vivo Film, Striplife è stato sceneggiato da Teleimmagini, una factory di videomakers nata nel 2000 a Bologna, che lavora nell’ambito della comunicazione indipendente.
Dato il luogo e il tema ci si potrebbe aspettare un documentario militante e antagonista. Niente di tutto questo. La sfida riuscita è di uno sguardo, fuori da certa retorica politica, allo stesso tempo più oggettivo, più intimo e più rispettoso dei sacrifici, della faticosa esistenza e dei diritti di un popolo, in attesa che la pace definitiva in quella terra martoriata abbia il sopravvento.
Come nasce l’idea di questo film collettivo?
Andrea Zambelli. L’idea iniziale era aperta, ma volevamo verificarla sul posto cioè raccontare quella Gaza che i media occidentali non raccontano. Perciò evitare i bombardamenti, le formazioni armate, la guerra, la questione di Hamas e concentrarci su persone normali che nella loro quotidianità attuano una sorta di resistenza alle condizioni difficili in cui sono costretti a vivere.
Valeria Testagrossa. Un’idea condivisa dagli stessi palestinesi, convinti che si dovesse mostrare un’altra Gaza, mai vista. Due di loro hanno lavorato stabilmente in organizzazione e produzione: un 60enne, che tra l’altro parla un buon italiano avendo lavorato per un decennio in Italia, e un 21enne. Entrambi indispensabili nei contatti sul campo e nella visione di una realtà che scoprivamo, contribuendo così a uno sguardo profondo e non superficiale. E inoltre hanno collaborato al lavoro della troupe anche due operatori 20enni.
Il film è dedicato a Vittorio?
Valeria Testagrossa. L’origine del progetto è collegata alla Carovana realizzata dopo l’uccisione a Gaza del reporter e attivista pacifista Vittorio Arrigoni nel 2011, sono stati presi contatti con giovani palestinesi che volevano raccontare una Gaza fuori degli stereotipi, mostrando un’altra faccia della città come quella, mostrata dal film, degli artisti dell’hip hop, dei giovani praticanti di parkour.
Andrea Zambelli. Tutti i personaggi incontrati avevano un ricordo positivo di lui, erano anche molto arrabbiati che fossero stati alcuni palestinesi ad ammazzarlo. In fondo la rete di solidarietà che Vittorio aveva costruito ci ha aiutato molto nel nostro lavoro.
Non c’era dunque uno script come base?
Valeria Testagrossa. Prima della partenza avevamo già una sceneggiatura che abbiamo lasciato abbastanza aperta, perché una volta arrivati sul posto, grazie ai palestinesi che hanno contribuito al progetto, abbiamo trovato i personaggi. Il lavoro di scrittura ci ha permesso così di girare non troppo, non più di 80 ore tra fine gennaio e inizio marzo di quest’anno, poi il lavoro di montaggio da parte Luca Gasparini ha fatto il resto.
Come avete scelto le storie narrate?
Andrea Zambelli. Abbiamo scelto personaggi diversi tra loro per genere, condizione sociale ed età per offrire allo spettatore un affresco corale nell’arco di una sola giornata. Un precedente sopralluogo, nove mesi prima, aveva individuato dei possibili personaggi.
Valeria Testagrossa. Una volta là, grazie ai palestinesi e al sostegno Centro italiano per scambi culturali Vik, in particolare Meri Calvelli, abbiamo scelto le storie. Poi c’è stato un periodo di osservazione, abbiamo avuto un feedback su quello che gli stessi protagonisti volevano fosse raccontato. I tanti documentari su questo luogo cercano sempre di dimostrare una tesi attraverso i pareri di esperti. Con lo stile dell “observation movie” abbia lasciato che la videocamera raccogliesse la realtà attraverso la coralità delle storie.
Avete avuto problemi a girare?
Andrea Zambelli. No, una volta ottenuto il permesso di Hamas che governa la Striscia di Gaza, ci siamo mossi liberamente.
Che stile avete privilegiato?
Andrea Zambelli. Non il documentario classico, perché tanti sono i reportage realizzati su Gaza. No allora alle interviste, sì alla contaminazione tra forma documentaria e forma fiction, così abbiamo costruito un arco narrativo delle singole storie. Abbiamo scelto l’inquadratura fissa, senza sguardi in macchina, evitando la macchina mano.
Valeria Testagrossa. Insomma il limite dell’inquadratura per rappresentare l’impossibilità per i nostri personaggi di superare i confini che accerchiano la striscia di Gaza.
Come avete finanziato questo lavoro collettivo?
Valeria Testagrossa. Siamo partiti senza fondi privati e pubblici. I finanziamenti maggiori vengono da serate musicali organizzate nei centri sociali come il Cinodromo e il Forte Prenestino di Roma. Inoltre abbiamo creato un sito di crowdfunding, www.produzionidalbasso.com che ha consentito una sottoscrizione popolare.
Il film apre con una sequenza molto forte: le mante spiaggiate. Come siete riusciti a realizzarla?
Andrea Zambelli. La notte uno dei giovani collaboratori palestinesi ci ha avvisato a mezzanotte di quanto era accaduto, ma subito non abbiamo trovato il luogo. Solo la mattina presto ci siamo accorti che le mante stavano nella spiaggia davanti al nostro albergo.
I media hanno parlato di un inspiegabile evento naturale.
Valeria Testagrossa. Questa è la versione ufficiale rilanciata in tutto il mondo. La verità è che le mante sono state messe lì dai pescatori palestinesi che le hanno catturate in acque extraterritoriali, egiziane, dove non è consentito loro pescare. Solo in quel tratto di mare sono presenti questi pesci.
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