Giornata d’onore al RomaFictionFest per Kenneth Branagh, insignito del Premio alla carriera attribuitogli dal Festival prima di presenziare alla proiezione di uno dei tre episodi (Delitto di mezza estate) de Il commissario Wallander, la serie della Bbc replicata in questi giorni su Sky Cinema di cui è l’ammirato interprete nei panni del detective svedese, protagonista dei libri di Henning Mankell.
Il quasi 49enne grande attore-regista irlandese naturalizzato inglese, da molti ritenuto degno erede di Lawrence Olivier per la sua eccellente versatilità in cinema ed in teatro tra Londra e Hollywood – dove sta attualmente preparando Thor, un nuovo film da regista dedicato al supereroe della Marvel – ha parlato della serie di cui è interprete e raccontato il rapporto con il proprio mestiere.
“Quando mi hanno chiesto di recitare la parte di Wallander, la proposta mi ha subito interessato, mi piaceva leggere gialli fin da ragazzo e piaceva anche a mia madre, ne avevamo la casa piena. E mi ha anche lasciato un po’ perplesso, perché ero già da tempo un lettore accanito di questo commissario brillante e intuitivo nel lavoro, ma schivo e piuttosto scostante nella vita”, ha esordito Branagh. “I libri di Mankell hanno una dimensione poetica che la sceneggiatura ha messo in risalto: c’è il mistero ed il giallo, ma le vicende di questo commissario sono segnate da ulteriori spunti di riflessione e di meditazione che andavano e vanno oltre l’evolversi classico di un thriller. Nelle varie storie sono importanti le dinamiche dei casi da risolvere. Ma credo che la vera novità venga dalla loro costruzione e dalle emozioni dei personaggi che vengono allo scoperto: emergono la crudeltà e l’ostilità della natura umana. Si rivelano infatti aspetti nascosti dell’uomo, possiamo capire di più la condizione umana, un po’ come avviene in Shakespeare che mette sempre i personaggi in situazioni estreme”.
Secondo Branagh Wallander è un poliziotto-filosofo che tende all’introspezione e parla molto meno di quanto faccia lui nella vita. “La maggior parte dei casi si dipanano attraverso l’azione e questo mi ha aiutato anche nel mio lavoro successivo, ora cerco sempre meno di fare e tendo di più invece ad ‘essere’. E’ difficile ma, quando ce la fai, è fantastico”, ha spiegato l’attore che girerà presto tre nuovi episodi tratti dalle storie pubblicate nei libri di Mankell che al momento sono dieci. E secondo il produttore Andy Harries potrebbero aumentare con ulteriori capitoli creati appositamente dall’autore.
C’è anche il progetto per Branagh di un’altra serie poliziesca sul disincantato commissario veneziano Aurelio Zen, nato dalla penna dello scrittore britannico Michael Dibdin, morto nel 2007, e pubblicato in Italia da Passigli.
Interrogato sul suo modo di avvicinarsi al cinema e al teatro Branagh ha quindi rivelato che il suo approccio “è sempre identico, devo essere interessato al progetto, al di là del fatto che sia ampio o meno, ciò che conta è la qualità dell’esperienza creativa”. E a proposito dell’ipotesi di mostrare in tv i classici anche in prima serata, a partire dall’amato Shakespeare ha aggiunto: “Perché no? Quando ci sono creatività e immaginazione, si possono cambiare le regole di sempre. In Gran Bretagna ad esempio sono stati mandati in onda alcuni romanzi di Dickens tre volte la settimana in episodi da mezz’ora ciascuno, un po’ alla maniera delle soap opera e credo che questo sia stato un metodo interessante per fare avvicinare a Dickens chi non lo conosceva affatto”.
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