Keaton, Iñárritu e l’Ego-movie

Birdman - The Unexpected Virtue of Ignorance di Alejandro González Iñárritu con protagonista Michael Keaton in sala il 5 febbraio forte di nove candidature all'Oscar


VENEZIA – Convince un po’ tutti il film d’apertura di Venezia 71, il Birdman – The Unexpected Virtue of Ignorance di Alejandro González Iñárritu con protagonista Michael Keaton – oltre ad altri nomi noti, tra cui Edward Norton e Emma Stone – che si presenta come una raffinata, metacinematografica e stratificata riflessione sull’Ego, quello individuale e quello dell’industria cinematografica, abbracciando vari generi e soprattutto vari linguaggi. Il protagonista Riggan Thomson (Keaton) è a sua volta un attore conosciuto per aver interpretato un famoso supereroe – il Birdman del titolo, ma è chiaro il riferimento al Batman incarnato da Keaton negli anni ’90 per la regia di Tim Burton – che lotta per portare in scena uno spettacolo teatrale a Broadway, conciliando al contempo i problemi con la sua famiglia, la sua carriera e sé stesso. Birdman gli appare come personificazione delle sue angosce interiori, e gli parla con toni a volte concilianti, a volte aggressivi e inquietanti. A tratti lo istiga ad autodistruggersi, a tratti lo scuote permettendogli di dare il meglio. Non si può evitare di pensare anche alla recente scomparsa di Robin Williams. “Una morte – dice l’attore – che ha colpito molto gli Usa, in quanto arrivata inaspettatamente. Ognuno di noi sente il peso del suo lavoro in maniera diversa, ma il lavoro è lavoro, serve per guadagnarsi da vivere ma è triste pensare che possa influire in maniera così negativa sulla propria esistenza. Riggan lo vive come un’ossessione e questo gli fa cambiare la sua prospettiva”.

Per il messicano Iñárritu si tratta certamente di temi insoliti: “Dopo tanti film puramente drammatici e piccanti come un piatto di chili – dice il regista – avevo bisogno di un dessert. D’altro canto se non tenti di fare qualcosa di nuovo, che ti spaventi un po’, non vai avanti. Certamente è un film sull’ego, tutti battagliamo con il nostro Birdman interiore, ma alla fine abbiamo bisogno di affetto, non di ammirazione. Non è un problema dei soli attori, l’ego può distruggere qualunque persona che, se facilmente esposta al pubblico, non sia in grado di controllarlo. Riggan è convinto di avere poteri telecinetici, è un simbolo che sta a significare l’illusione di poter fare più di quello che si è effettivamente in grado di fare”.

C’è sicuramente, dietro alla pellicola, una certa conoscenza del mondo dei fumetti e dei film di supereroi. Negli anni ’90 Burton poteva fare un blockbuster su Batman ed uscire comunque come un autore. Oggi è molto più difficile, ci sono i Marvel Studios e tutto è appiattito nel calderone della continuità narrativa e stilistica tra un film e l’altro. Il Thor dello shakespeariano Kenneth Branagh non differisce troppo dall’Iron Man di Shane Black, autore di commedie e ‘buddy-movies’. “Si tende a pensare che il cinema d’autore sia quello buono e quello commerciale cattivo – dichiara Iñárritu  – ma non è vero, ci sono buoni e pessimi esponenti di cinema in ogni genere. Il vero problema è che il cinema buono non arriva al pubblico di massa, che è stato esposto a una dieta eccessivamente ricca di zuccheri e carboidrati, che gli ha fatto perdere sensibilità. I festival in questo senso rappresentano un po’ l’ultima spiaggia”. “Burton è stato un pioniere – continua Keaton a tal proposito – in grado veramente di cambiare le regole del sistema. E’ stato il primo a riferirsi ai fumetti di Frank Miller con una visione rivoluzionaria anche grazie alle idee dei produttori. Pensiamo al costume che costruirono per Batman e a quante volte è stato frammentato e ricostruito per i film di super-eroi successivi, come una striscia di cocaina. Sono orgoglioso di averne fatto parte, ma non direi che Batman mi segue come Birdman. Bisogna tenere a bada il proprio ego. Diciamo che io guido la macchina e lui è seduto al posto del passeggero”. “Ho scelto Keaton – spiega Iñárritu  – non tanto per i suoi trascorsi sotto il costume del Cavaliere Oscuro, ma perché avevo bisogno di un attore in grado di spaziare su più registi, dal comico al drammatico. Nessuno ha la sua sicurezza in questo senso”. “Non che io sia mai stato un fan dei supereroi – fa eco ancora l’attore – da ragazzo ero più attratto da storie realistiche, sulla Seconda Guerra Mondiale, sui Cowboy, oppure gialli e crime-stories. Tutto ciò che è poco realistico non mi attrae, perché non riesco a crederci e quindi non mi pare emozionante”.

Altri temi del film. La facile esposizione fornita dai social network: “Non li uso – dice Iñárritu  – non ho tempo di farlo e non voglio una nuova dipendenza, alla mia età. Non che io voglia essere critico. Osservo quello che accade e temo che ci sia il pericolo di una distorsione sostanziale della realtà e della verità, con progressiva diminuzione di tempi e spazi per la riflessione e la comunicazione”. Il rapporto tra cinema e teatro: “il conflitto va avanti da sempre – prosegue il regista – gli attori di teatro solitamente sviluppano maggiori capacità istrioniche a scapito di una minore popolarità, e vice versa”. “Per me non c’è grande differenza – dice Keaton che ha adattato il suo stile rendendolo particolarmente operatico – è solo lavoro e non distinguo tra cinema e teatro, ma non mi era mai capitato di fare un film così. Era molto teatrale anche Beetlejuice, volendo, ma non posso dire di avere una preferenza”. Una stilettata se la prendono anche i critici, rappresentati dall’arido e spietato personaggio di Lindsay Duncan. “In realtà – conclude Keaton – le critiche non le leggo. Principalmente per pigrizia”.

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27 Agosto 2014

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