Un ingegnere, autodidatta rispetto al cinema dal 2005: Kaveh Mazaheri esordisce nel lungometraggio con Botox, opera prodotta da Iran e Canada, in Concorso al TFF.
Un fratello, due sorelle. Il primo – Emad (Soroush Saeidi) – “scompare”, le seconde – Akram (Sussan Parvar) e Azar (Mahdokht Molaei) – sostengono una bugia – che sia fuggito in Germania – col tempo complessa e pericolosa, e che comporta l’approdo in circostanze oscure e misteriose: l’ispirazione della storia giunge da una persona realmente esistente, che ha fatto parte della vita personale del regista: “Akram è una donna affetta da autismo, che per anni è stata umiliata dal fratello. Mi sono sempre chiesto cosa sarebbe successo se un giorno avesse potuto ricevere un risarcimento per tutto quello che ha subìto. La storia fa parte della storia di una mia parente, è ispirata a lei, ho vissuto con lei per anni, potrei realizzare altri film su di lei, che si chiama davvero Akram: quando avevo 18-19 anni seguii un corso di sceneggiatura e l’insegnante ci suggerì di approfondire le caratteristiche di una persona che ci era vicina, l’ho fatto ma, quando ho letto l’idea in aula, lui mi disse essere una bugia, mentre era davvero una persona con cui vivevo, eppure lui non credeva che tutte quelle cose strane potessero appartenere ad un’unica persona. L’idea è rimasta nella mia testa, nel frattempo ho cercato di imparare come raccontarla perché potesse essere la storia per un film. L’Akram della scena, da quella reale, ha differenze sostanziali: ringrazio davvero l’attrice, che ha recitato molto meglio di come io l’avessi scritta, ha saputo scoprire delle caratteristiche dell’originale che io non ero riuscito a riportare in sceneggiatura”, spiega l’autore iraniano.
Una donna, in piedi, di spalle, nel soggiorno di un appartamento, guarda il televisore, che trasmette un episodio animato del famoso cartone Willy il Coyote e Beep Beep: fuori piove copiosamente, si deduce dall’acqua che sbatte e scivola sui vetri delle finestre, quando dall’esterno una voce maschile la chiama – “Akram” – e la sollecita a recuperare dei sacchetti, così comincia Botox; un film dal tono tragicomico, una commedia nera, tra un’ironia sagace – portata soprattutto dalla sorella autistica, a cui l’attrice restituisce un’interpretazione altissima, nel quasi totale silenzio del suo ruolo –, la prospettiva d’una fungaia casalinga di miceti stupefacenti, e l’aura della morte.
“È un thriller famigliare, se si guardano i miei lavori precedenti hanno storie prevalentemente femminili: dai corti a questo lungo quasi sempre la caratteristica principale del racconto l’ho affidata ad una donna. Questa storia richiedeva di assemblare più generi e il personaggio di Akram richiedeva momenti comici, io stesso penso che la vita non sia sempre qualcosa di stupendo e bellissimo, ma al contempo non si deve cadere nel troppo oscuro, per cui non ho scelto un noir assoluto ma un’ambientazione più allegra, e con il procedere della sceneggiatura le cose sono emerse da sé. Nel film cerco di fuggire dal discorso giudiziario statale, quello costruito con il thriller è stato un gioco: infatti, anche con la musica, volevamo una composizione sia elettronica che con strumenti classici persiani, come il flauto iraniano che si sente nel deserto di sale; volevo qualcosa che creasse suspense e allo stesso tempo paura, e il mio obiettivo non era giudicare, per cui la fine del film è molto fantasiosa”.
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