“Julia”, romanzo di una vita in bilico (tra i sessi)

La regista J. Jackie Baier ha seguito per 10 anni le vicende della donna, nata uomo


Julia beve. Julia si buca. Julia muove compulsivamente la testa, con gli occhi assenti. Ma Julia è una creativa. E’ una forza della natura. Una persona dall’identità mutevole e dalla determinazione feroce. Sicuramente nell’arte di non accettare i compromessi. Julia è la protagonista del documentario (a cui dà il titolo) di J. Jackie Baier, presentato tra gli eventi speciali dei Venice Days. Il racconto di una vita speciale, tra fotografie e video, lungo 10 anni e grandissime trasformazioni, tra scelte e dolori che hanno portato Julia dall’essere un ragazzo tremendamente promettente della sua scuola d’arte a Kalipeda, in Lituania, alla prostituzione per le strade di Berlino.

“Ho incontrato Julia per la prima volta circa 10 anni fa in un bar di Berlino – racconta la regista, che con la protagonista condivide più di un’esperienza, a partire dalla prostituzione, all’epoca – ed è stata un’attrazione a prima vista tra lei e la telecamera. Vendevamo entrambe il nostro corpo nello stesso luogo, ma poi abbiamo cambiato strada per motivi diversi: io perché non ero abbastanza brava a farlo, lei perché non andava d’accordo con la persona che ci gestiva. Julia è intelligente, coraggiosa, sa ascoltare e sa dire bugie. E’ una bionda dea voluttuosa”. Secondo la regista J. Jackie Baier – che è diventata a sua volta ufficialmente donna nel 1997 e oggi è un’affermata documentarista e fotografa – “Julia è libera e selvaggia, incapace di diplomazia. Se serve firmare un contratto sociale, lei di sicuro non lo fa”. E con questo documentario si è esposta alla macchina da presa per “il racconto a lungo termine della vita di una persona, il ritratto di una giovane donna, il percorso di transizione da ragazzo a ragazza. E’ la storia di una vita, ed è quasi incidentale il tema della transessualità. Non ho mai pensato al film come a un racconto sull’identità, sull’essere trans”.

Pur presente in laguna, Julia ha rifiutato di rilasciare interviste ai giornalisti – “perché se vogliono sapere qualcosa di me, basta guardare il film. Anche perché non sono un’attrice” -, perciò spetta alla sua regista tentare di spiegare le ragioni delle sue scelte: “Quella che appare come la scelta più tragica della sua vita, cioè abbandonare il suo paese, è stata una decisione sostanzialmente obbligata: da transessuale non poteva restare in Lituania e quando è arrivata a Berlino era anche clandestina. Ha deciso di prostituirsi e poi non si è mai lamentata. Ma quando ha compiuto, a 10 anni di distanza, il viaggio di ritorno in Lituania davanti alle nostre telecamere, ci è tornata da persona più forte”. Quello di Julia è un viaggio esistenziale lungo 10 anni, tra le fragilità nascoste e quelle esposte di una donna che non può dire di esserlo: “Sono qualcosa… sono una creazione di Dio, ma una creazione deformata”. E ora che la sua storia scorre tra le toccanti immagini del documentario di J. Jackie Baier, a che punto è del suo percorso? “E’ semplicemente contenta di essere viva. Ma allo stesso tempo ha dei sogni. Ad esempio le piacerebbe fare l’interprete”.

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31 Agosto 2013

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