MILANO – Joyce Carol Oates, esile figurina femminile che sembra mossa dal soffio del vento, appena comincia a raccontare, a raccontarsi, si restituisce come una valchiria, una forza della natura intellettuale e creativa, quale è, e lo dimostra la sua prolifica produzione letteraria, il suo essere una globe trotter per la diffusione della sua fantasia nel mondo, nonché fiera docente, tra le prestigiose Princeton e Berkeley: “ha formato generazioni di studenti e scrittori”, ricorda il professor Fabio Vittorini, docente di Letterature Comparate dell’Università IULM, moderatore dell’incontro ravvicinatissimo con l’86enne Signora della letteratura contemporanea.
Come ricorda il Professore, “The New York Times, lo scorso anno, ha pubblicato una stima che attribuiva a Oates più di 40 romanzi, più di 60 racconti, 9 collezioni di poesie, e varie produzioni per bambini, questo a conferma del suo ricchissimo universo, con tematiche che ricorrono e molto connesse al concetto dei diritti umani“.
Joyce Carol Oates, ospite al Noir in Festival 2024, onorata del Premio Chandler di questa edizione, accompagna nella tappa milanese il suo ultimo romanzo, Macellaio (La Nave di Teseo), svelando che – nonostante la vivace e frenetica vita in lungo e in largo per il globo – stia già scrivendo il prossimo libro: “sto scrivendo un romanzo sulla direttrice di una scuola, ingannata da un uomo carismatico; sono vecchie ma sempre attuali le storie di tradimento tra esseri umani. Quando una donna arriva in alto, poi, si ha un contraccolpo, perché cercano di toglierle potere”.
Non stupisce che la mente di una persona che respira e espira scrittura creativa allo stato puro abbia anche affascinato il cinema, infatti è adattato dal suo Blonde l’omonimo film scritto e diretto da Andrew Dominik, protagonista Ana de Armas. Oates non ha dubbi rispetto alla creatività di chi prende in carico un’opera originale e l’adatta, infatti spiega che “il regista, lo sceneggiatore, gli attori hanno la loro creatività, e quando il mio lavoro viene adattato per il cinema io sono solo uno spettatore come gli altri, non sento un senso di proprietà verso quello che ho scritto. Sono due cose separate, la scrittura e il film. Per quanto riguarda Blonde, romanzo di 800 pagine, Andrew Dominick, nel fare il film, di un paio d’ore, chiaramente ha dovuto scegliere alcuni filoni della storia, ha dovuto ridurre il numero dei personaggi, con un cast relativamente piccolo, un numero minore di scene rispetto a quelle del libro, perché un libro può essere di mille pagine e avere un sacco di personaggi in più. Non ritengo di dover imporre la mia visione personale sul lavoro degli altri, questo è certo. Dominick pensava di aver fatto un film femminista, invece non è stato percepito in questo modo, ma come il progetto di un uomo che si è appropriato della storia di una donna, quindi questo film ha avuto delle recensioni di diverso segno. La vita reale di Marilyn Monroe è stata una vera catastrofe, è stata una donna sfruttata in tutti i modi, questo l’ha portata al suicidio, ha sempre sentito di essere stata usata dagli altri, però, nel caso del film, io non mi soffermerei sul fatto che sia un uomo ad averlo fatto, non lo voglio giudicare, bisogna guardare quale sia il risultato dell’opera tratta dal libro”.
Oates s’addentra poi nelle tematiche che ricorrono nella sua produzione letteraria, volano spesso di riflessioni di ordine sociale. In particolare, partendo da il Macellaio, un titolo che immergendosi nella lettura suscita la voglia di vederlo…, infatti nulla manca a questa scrittura per poter semmai diventare cinema, e lei spiega di essere “sempre stata interessata alla storia della Medicina, alla storia della Scienza e soprattutto a queste pratiche mediche non etiche. Tra l’altro, mio marito, Charlie Gross, era uno scienziato e uno storico della medicina, quindi è andato sempre a fondo sulle pratiche contemporanee nei confronti delle donne e ha indagato anche quelle del passato, quelle praticate con un atteggiamento di discriminazione, un atteggiamento bigotto, andate avanti per secoli. Io parlo di questi eventi avvenuti appunto nella seconda metà dell’Ottocento ma alcune cose possono essere ancora attuali nel XXI secolo”.
Per la scrittrice, in generale e nello specifico di quest’ultimo romanzo, “l’importante è una visione iniziale, in cui emergono momenti principali dall’idea originaria, forza motrice della scrittura, a cui si aggiungono affluenti come misoginia, discriminazione, forti ancora oggi”.
È dunque inevitabile toccare il tema della misoginia, che per l’autrice “abbraccia tanti campi della conoscenza. Quali sono le origini? Ce lo chiediamo, e possono essere religiose; negli stessi USA, fino agli Anni ‘20, le donne non avevano diritto di voto o avere carta credito non è stato possibile fino agli Anni ‘70; succede, se ci pensate, che quando nasce un maschio la mamma sia il suo mondo, poi crescendo si distanzi, come alienato. Perché succede? È culturale o ha origini della biologia? C’è una qualità femminile, quella di essere testimoni marginali ma con uno speciale sguardo verso il potere, che fa riconoscere assurdità e ipocrisia, mantenendo senso dell’umorismo. Sfidano il potere in maniera indiretta, e le donne hanno il vantaggio di riconoscere il potere costituito. Tra queste persone ‘marginali’ ci sono gli artisti. La razza umana sembra propensa alla tragedia ma nei rapporti famigliari penso ci sia più possibilità di soddisfazione: negli USA, per esempio, c’è molta attenzione verso gli animali, un modo per estendere gli affetti: forse è un contraltare per le guerre, per le efferatezze umane. I rapporti umani sono vere esperienze, anche positive: io penso bisogna essere ottimisti. Nella tragedia greca c’era il senso della vendetta: questo distrugge le leggi del consesso civile; alla lunga è un fallimento della civiltà. La scrittura è un atto politico”.
Il professor Vittorini parlando della struttura della sua scrittura le fa apprezzare in particolare la sua definizione per cui “la parola polifonia mi fa molto piacere, mi sembra azzeccata: la voce femminile di Bridget diventa sempre più forte, e la presenza maschile invece scema. Il romanzo parla dell’emancipazione delle donne con la fine della schiavitù dopo la Guerra Civile”, così come “insurrezione è un’altra parola corretta, c’è lenta ma inesorabile. Io parto dal punto di vista delle donne: la violenza monta nella seconda parte del romanzo e poi viene sconfitto lo sfruttamento del corpo femminile; è come se ci fosse una presa di coscienza: Bridget piano piano acquista la sua voce, finché diventa una poetessa”.
L’enigma del tratto soggettivo nella scrittura di un’opera, sia essa letteraria o cinematografia, è sempre in agguato, ma Joyce Carol Oates dice di non essere “sicura che il corsivo sia la mia voce, è più una coscienza sotterranea che emerge… Quando scrivo faccio spazio fra le righe alla mia presa di coscienza”.
Pensando alle personalità dei suoi personaggi, siano essi di ispirazione realistica come la Marilyn di Blonde o di pura fantasia, semmai ispirati dagli esseri umani della società, Oates spiega di non credere che “le persone possano essere viste in bianco e nero, sarebbe riduttivo, gli esseri umani sono complessi: il medico protagonista de il Macellaio è un mostro, sì, ma sta anche facendo compiere passi avanti alla Medicina; la scienza, in fasi sperimentali, progredisce attraverso errori, è qualcosa di avventuroso, simile allo scrivere un romanzo”.
Vittorini fa coda ricordando che “la storia del medico protagonista è ispirato a tre medici che hanno fatto la Storia della Ginecologia, che hanno fatto esperimenti su donne di colore, e il padre della ginecologia moderna – J. Marion Sims – ha definito pratiche in atto ancora oggi”.
Oates precisa che “il dramma si sviluppa dal fatto che si cerchi di opprimere persone che poi si ribellano: io scrivo dal punto di vista femminile, con la protagonista che prende coscienza e questo rappresenta il movimento rivoluzionario contro l’oppressione. Nel romanzo c’è gioia per la sconfitta verso l’oppressore: è un’insurrezione contro il tiranno”.
Importante per l’autrice è anche “l’atteggiamento vivo nelle diverse generazioni, rispetto al comportamento che esercitano, una critica rispetto ai padri: prima della Guerra Civile c’era un rigore differente e qui il personaggio di Johnatan, figlio del dottore, racconta la storia, il che significa che prevalga la generazione giovane, con un finale quasi romantico”.
Joyce Carol Oates è una scrittrice e in quanto “scrittrice mi occupo di individui, non di società. Io guardo con molto interesse ai marginali perché possiedono il senso dell’assurdo, così sono gli artisti e, a questo proposito, Alice nel Paese delle Meraviglie è il mio libro preferito, sull’assurdità, dunque un libro sulla rivoluzione”.
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