Jonas Carpignano: “La mia storia Mediterranea dal punto di vista dei migranti”

Il regista trentunenne italoamericano ha presentato tra gli applausi la sua opera prima alla Semaine de la Critique


CANNES – “L’inizio di tutto è stato la rivolta di Rosarno, nel 2010. Sono andato in Calabria subito dopo quell’evento, colpito da ciò che era successo, con l’intenzione di fare un film sui migranti e le difficoltà dell’integrazione”. Nato a New York da madre afroamericana e padre italiano, il trentunenne Jonas Carpignano è cresciuto tra Roma e New York, oggi vive a Gioia Tauro ed è “sempre stato sensibile alla questione razziale in Italia”, tanto da imbracciare una telecamera e partire immediatamente, colpito dalle immagini di violenza viste nei tg. Il primo risultato è stato il cortometraggio A Chjana, poi A ciambra, realizzati dopo una lunga permanenza sul posto e una conoscenza approfondita del territorio e dei suoi abitanti. Ora è arrivato Mediterranea, il lungometraggio d’esordio che di quel corto è lo sviluppo e che è stato presentato tra gli applausi alla Semaine de la Critique. Co-produzione tra Italia, Francia, Germania, Stati Uniti e Qatar, il film segue l’odissea di Ayiva, un ragazzo che dal Burkina Faso decide di raggiungere l’Italia per mantenere la sua famiglia. Prima di raggiungere il nostro Paese, Ayiva attraversa l’Algeria e la Libia e conosce la violenza, la morte e la disperazione 

Cosa ha visto quando è arrivato a Rosarno la prima volta?
Quando sono arrivato lì c’era un delirio totale, con giornalisti ovunque: per i ragazzi del posto era inquietante trovarsi all’improvviso al centro dell’attenzione di tutte queste persone. Ho capito che per me non era il momento di entrare in quel contesto, non volevo essere come quei giornalisti, perciò ho aspettato sei mesi, sono tornato in Calabria e ci sono rimasto, infatti vivo lì da 5 anni. In tutto questo tempo ho creato un rapporto profondo con quelle persone e capito bene la loro realtà.

Perché ha scelto proprio la storia vera di Koudos – che diventa Ayiva – tra tutte quelle che ha sentito in Calabria?
Non mi ha convinto tanto la sua storia, ma la sua presenza. Volevo che il pubblico trovasse un varco per entrare in quel mondo, e Koudos è molto carismatico, esattamente come lo vedete sullo schermo.

Questa è la vera storia di Koudos, ma non è un documentario. Quanto è “romanzato” questo racconto?
I fatti a volte sbagliano, mentre le emozioni possono essere ancora più vere della realtà. Posso confermare che il 99% delle cose che si vedono in Mediterranea sono davvero accadute a Koudos. Poi ci sono alcune cose tratte da storie di altre persone. Tre anni e mezzo fa sono andato lì con una sceneggiatura, ma quel testo è cambiato tantissimo nel tempo perché ho voluto inserirci altri episodi accaduti nel frattempo. Ricreare le scene non mi serviva per aggiungere un livello di finzione, ma per coinvolgere le persone che davvero hanno vissuto quelle cose. Il mio approccio è la collaborazione, non l’osservazione.

Il suo, da italoamericano, è un punto di vista comunque speciale…
Quando sono in Italia, magari alla posta, mi sento americano. Quando invece sono in America, specialmente a New York, mi sento italiano. C’è sempre qualcosa che mi manca, e questo definisce il mio sguardo quando faccio un film. Cerco di raccontare una storia portando quel mio elemento in più, che in questo caso è anche lo spaesamento.

Immagino che sia stato molto complicato girare certe scene. Com’è andata?
In particolare è stata difficile la scena della traversata in barca. In questo film si rimane sempre attaccati a un punto di vista, perciò se sei su quella barca non riesci a vedere l’onda che arriva da tre chilometri e che sta per travolgerti. Naturalmente non potevamo fare una cosa tipo Life of Pi, ma dovevo rendere l’esperienza terrificante di stare su quella barca nel buio, quindi abbiamo trovato un modo per creare quell’effetto e abbiamo usato gli effetti speciali per la tempesta.

Il film è girato tutto nei luoghi degli avvenimenti. Ci sono stati problemi? Qualcuno ha cercato di ostacolarvi?
All’inizio sì, girare il corto è stato difficilissimo, poi la gente ha imparato a conoscermi come il regista, come una brava persona che non crea problemi, sapevano cosa stavo facendo e tutto è diventato più facile. È anche per questo che voglio girare di nuovo lì: abbiamo creato le condizioni raccontare agilmente altre storie di quei luoghi, e il prossimo film sarà sulla storia di Pio, il ragazzino che vende le cose ad Ayiva.

Immagino che sia stata un’avventura anche dal punto di vista economico.
Il budget è di un milione di euro, messi insieme coinvolgendo produttori americani, francesi, del Qatar, tedeschi, italiani, greci. È stato difficile mettere insieme tutti i soldi, ma una volta che ci siamo riusciti è stato una meraviglia, perché nessuno dei produttori voleva venire giù ed eravamo liberi di fare quasi tutto quello che volevamo.

Questo film è indubbiamente un political statement. Qual è la cosa che le premeva dire più di tutte?
La mia intenzione era far sì che il pubblico si avvicinasse ai miei protagonisti come persone. Non volevo fare un film didattico per mostrare la situazione a Rosarno, anche perché siamo bombardati da tante immagini. La mia idea era avvicinare la gente a queste persone e mostrarle in quanto tali, non in quanto “immigrati”. Volevo dire a tutti che dietro le immagini che vediamo nei Tg ci sono persone come noi, che ascoltano la stessa musica, usano facebook e skype come noi.

È molto interessante il personaggio di Mamma Africa. È reale?
Assolutamente sì, è proprio la persona che mostro nel film, che ha una mensa e ogni domenica prepara la cena per tutti loro. Prepara anche le buste con il cibo e viaggia attraverso i vari ghetti per distribuirlo. Si chiama Norina Vendre.

C’è una parte di Italia accogliente e una parte violenta e razzista, sembra che Koudos cammini su un filo teso esattamente in mezzo.
È proprio così, non sappiamo cosa succederà in futuro, ma volevo celebrare il coraggio della sua decisione di rimanere in Italia.

Si aspettava di arrivare a Cannes con questo film? E cosa si aspetta dal festival ora?
In realtà ancora non capisco bene cosa sta succedendo, siamo tutti molto emozionati. Abbiamo lavorato in famiglia, girando nel nostro giardino con tutti i nostri amici, e il fatto che il film sia arrivato qui è incredibile. I ragazzi che sono giù in Calabria ancora non ci credono che siamo a Cannes, ci scrivono ogni due minuti su facebook per sapere come sta andando e che reazioni ci sono. Appena torniamo giù facciamo una proiezione per loro e festeggiamo.

autore
20 Maggio 2015

Cannes 2015

Cannes 2015

Le Figaro riflette sulla delusione italiana a Cannes

Il quotidiano francese dedica un articolo al disappunto degli italiani per il mancato premio al festival: "Forse è mancata una lobby organizzata"

Cannes 2015

Italian Pavilion, dove il nostro cinema parlava (anche) straniero

"Dà l'idea di un Paese che funziona". "L'ulteriore dimostrazione che l'unione delle forze può veramente andare incontro alle esigenze di ogni categoria del cinema italiano".Sono solo alcuni dei commenti sul nuovo spazio del cinema italiano a Cannes, per la prima volta allestito nell'Hotel Majestic, con una terrazza che affacciava sulla Montée des Marches, due sale per le attività professionali e l'ormai famoso ingresso con il tunnel caleidoscopico. E' stato visitato da circa 3mila persone, di cui oltre il 50% stranieri. Sul finale, presente anche il ministro Franceschini."Tutto ciò è stato realizzato con una spesa leggermente superiore a quella che sostenevamo gli anni scorsi per avere il solo spazio sulla spiaggia nel Village International", spiega Giancarlo Di Gregorio

Cannes 2015

L’era Pierre Lescure al Festival di Cannes

Roberto Cicutto, amministratore delegato di Istituto Luce Cinecittà, commenta il contestato palmarès di questa edizione del festival. "Sulle decisioni delle giurie è inutile soffermarci. Si può condividerle o meno ma pretendere di sapere come dovrebbero comportarsi e' da ingenui. Dobbiamo essere soddisfatti che nell’edizione appena finita il cinema italiano e in generale l’industria audiovisiva si è presentata più compatta, con nuovi strumenti per la promozione e l’attrazione di investimenti e soprattutto con un’offerta di film pieni di talento e molto diversi tra loro. Vorrei però segnalare alcuni cambiamenti significativi nel DNA del Festival più importante del mondo"

Cannes 2015

I film italiani mai presi in considerazione per i premi

Rossy De Palma si lascia andare a qualche confidenza sul lavoro dei giurati: "Abbiamo pianto tutti con il film di Moretti, ma volevamo premiare la novità di linguaggio"


Ultimi aggiornamenti