CANNES – La prima vera giornata di festival è all’insegna dell’horror, tra la conferenza del film di zombie di Jim Jarmusch The Dead Don’t Die e la celebrazione della consegna al maestro John Carpenter, mago dello spavento (tra le altre cose, oggi era in programma anche la proiezione del suo cult La Cosa) della Carrosse d’or, premio di prestigio della Quinzaine des réalisateurs.
Per l’occasione è stato organizzato un incontro dove Carpenter ha raccontato i punti salienti della sua carriera e risposto a qualche domanda del pubblico, partendo dalla curiosa decisione di disertare la proiezione della mattina. “Vedete, quando uscì La Cosa – racconta – fu un’esplosione. Il mondo lo ha odiato, perfino i miei fan. Così ho pensato che non venire potesse essere una bella vendetta. Ma fu così anche per Halloween. Non immaginavo potesse essere un successo. All’inizio tutti dicevano ‘è una merda, Carpenter non sa lavorare con gli attori, eccetera…” e c’era una sola copia che da L.A. aveva cominciato a farsi il giro dei cinema in America, e ogni volta aspettavamo le reazioni che erano sempre negative. Un giorno il film è approdato a New York e qualcuno che aveva seguito, non ricordo esattamente chi, disse che era un buon film. Io a quel punto non ci pensavo più e non avevo idea che il film stesse cominciando ad avere successo. Me ne sono reso conto quando uno dei boss dello studio per cui lavoravo mi ha invitato a pranzo, in un hotel di lusso. E non era perché gli ero simpatico, ma perché avevo cominciato a fare soldi. Bene così, mi dissi, è un’opportunità. Non ho mai specificamente desiderato lavorare con gli studios, io volevo solo essere un regista professionista e vivere di cinema, e gli studios erano il posto dove andare per farlo. C’è tutto un processo dietro che non conoscevo, che aveva a che fare con il farsi conoscere e guadagnarsi la fiducia dei produttori. Io non sapevo farlo, però ho imparato subito, alla scuola di cinema, a combattere con le unghie e con i denti per difendere la mia visione dei film. ‘Giù le mani dalla mia pellicola’, è il mio motto. Il regista dovrebbe sempre avere l’ultima parola sul final cut del film, è una battaglia che stiamo tenendo molto negli Usa e a quanto so anche qui in Francia. In alcuni casi però ascolto quello che mi dicono i producer, ad esempio nel caso de La Cosa, vennero fatti dei test screen e alla fine ho deciso che si poteva cambiare il finale, come volevano loro, che non avrebbe influito sul cuore del film. Con gli horror, la gente deve urlare, se sento che urlano sono contento. Io amavo i film di mostri e amavo costruire mostri. Oggi non si fanno più film di mostri, solo film di supereroi. Peccato. Comunque, la regola tacita è che il mostro dovrebbe stare nell’ombra, io invece con La Cosa l’ho voluta sovvertire, volevo che la bestia si vedesse in piena luce in modo che tutti potessero capire di che orrore si trattava, risultava più realistico. Lavoravo con Rob Bottin e tutto il suo comparto di designer ed effettisti speciali, non c’era la cgi, e loro furono geniali perché capirono che il mostro non doveva avere una forma specifica, doveva essere mutante e plastico. C’era molto sangue e questo risultò disturbante”.
Le domande, numerose e interessate, hanno riguardato il suo metodo di lavoro con la squadra e gli attori: “Genericamente – dice il maestro – si tratta di trovare gente che lavora meglio di te. Se io so che un montatore può fare una scena meglio di come la faccio io, gli lascio campo aperto, per il bene del film. Con gli attori, quando vengono sul set, non faccio vere prove. Prima che vadano al trucco gli chiedo solo di piazzarsi in scena per prendere confidenza e scegliere le inquadrature, poi quando vanno a prepararsi inizio a lavorare col direttore della fotografia. E’ diventato tutto molto istintivo. Certe immagini vengono dai miei sogni o dai miei incubi. Una svolta per me è stato vedere Inferno di Dario Argento, che è uno dei miei registi preferiti – tra l’altro Argento è presente in sala, e alla fine della conversazione i due si saluteranno cordialmente – e mi sono detto: “Wow! Questo tipo ha la libertà di fare questa maledetta roba così creativa! Voglio farlo anche io!”. Così è nato Il signore del male, mettendo insieme tutte le scene più spaventose che mi ossessionavano. Dario è uno dei grandi maestri, insieme a Romero e Hooper. E poi mi è arrivata l’opportunità di fare Starman, dove ho mostrato il mio lato romantico. Mi piacciono molto i personaggi femminili, anche se ho avuto una brutta esperienza, durante un festival per cui ero giurato. Delle donne ce l’avevano con me per qualche motivo e hanno iniziato a fischiarmi, ho ancora paura che qualcuna di loro sia nascosta tra di voi in sala. Molte cose nascono per caso: usavo spesso la steadycam perché era più facile che fare i dolly, potevo evitare di mettere su i binari e tutto il resto. Non è che pensassi all’innovazione ma, ehi, se mi fa sembrare più intelligente, grazie, accetto il complimento. Il momento che preferisco della lavorazione di un film, comunque, è quando esce in sala e puoi dire ‘beh, ho finito. Passiamo ad altro!’”.
Naturalmente, non si può non parlare della musica, dato che Carpenter è famoso anche per essere un grande compositore che musica quasi sempre da solo i suoi film, e che recentemente però ha collaborato con Ennio Morricone, proprio per La Cosa: “Mi ispiro tantissimo a Dimitri Tiomkin, uno dei più grandi compositori per il cinema, e poi ai Tangerine Dream. Uso i sintetizzatori e il computer perché mi permettono di fare il suono ‘grosso’ e di farlo da solo, senza dover spendere tanti soldi. Morricone è un grande e dato che nessuno dei due parla la lingua dell’altro abbiamo comunicato attraverso il linguaggio della musica, che è universale come quello dello spavento. E’ per questo che gli horror sono ancora importanti, perché tutti si spaventano. Lavorare con lui mi ha dato grande gioia e soddisfazione. Ora sono in tour, come una vera rockstar. Tutti i bambini sognano di diventarlo. Suono, vado a Parigi e guardo il basket, la mia vita è completa”.
Si parla anche di videogiochi (“Li adoro, ho iniziato con Sonic e poi proseguito con gli sparatutto. Il più terrorizzante è stato Dead Space”), di rapporto con la sala (“In America andare al cinema è difficile, è pieno di gente maleducata che parla al telefono così ho paura di cosa potrei fargli. Preferisco guardare i DVD”), dei suoi personaggi (“appartengono tutti alla working class. Jena Plissken è ispirato al mio migliore amico del liceo”), dei suoi horror preferiti (“Mi ha terrorizzato La mosca, quello originale, però. Non la versione moderna”), del suo ruolo nel cinema (“Sono l’anti-Spielberg. E.T. e La Cosa sono usciti lo stesso anno. Lui voleva che il mondo si commuovesse e io che si spaventasse”), del suo eventuale coinvolgimento nei remake di Fuga da New York e Grosso Guaio a Chinatown (“penso vogliano farci delle serie. Se mi pagano, parteciperò volentieri”), perfino di politica: “Forse è meglio che io non li faccia più, i film politici.
Dei neo nazi mi hanno scritto convinti che i miei film fossero contro gli ebrei, la cosa mi ha molto spaventato. Ma fino a che c’è il cinema e la gente mostra di amarlo, e di interessarsi a qualcosa che non sia solo il proprio Ego, c’è speranza. Speranza contro il male, speranza contro Donald Trump. Ma mi dispera la situazione in Siria, dove vengono usate armi chimiche contro i bambini”.
Uno dei momenti più toccanti dell’incontro è stato quando un giovane ha chiesto a Carpenter come si possa diventare registi e lui lo ha incoraggiato: “Semplice. Fai un film. Fregatene dei soldi. Hai una telecamera digitale? Non ti servono. Ingaggia i tuoi amici, fallo, fai pagare l’ingresso e guadagna i soldi per farne un altro. So che lo puoi fare, anzi, mi aspetto che tu lo faccia”.
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