Joe D’Amato, il cineasta “degli eccessi” che non va dimenticato

In proiezione speciale alla Mostra del Cinema di Venezia, Inferno Rosso - Joe D’Amato sulla via dell’eccesso è il documentario di Manlio Gomarasca e Massimiliano Zanin che rende omaggio alla passione


VENEZIA – Aristide Massaccesi, prima di compiere 30 anni, aveva già lavorato sui set di alcuni dei più importanti registi dell’epoca, da Mario Bava a Fellini, passando per Jean-Luc Godard. Da autodidatta si era rapidamente imposto come un “artigiano del cinema”, abile, creativo e veloce, soprattutto come direttore della fotografia. Ma la sua passione per il cinema era così viscerale, che ben presto decise di mettersi dietro la macchina da presa, nelle vesti di regista, anche se quasi mai con il suo nome reale. Nel 1975 per il film Giubbe Rosse scelse lo pseudonimo più famoso, quello di Joe D’Amato. Il resto è storia: con più di 200 pellicole all’attivo, infatti, Aristide Massaccesi è conosciuto come il più prolifico regista italiano di sempre, spaziando praticamente per tutti i generi. L’erotico, l’horror, il western, il peplum, fino ad arrivare a quello che gli imprimerà il marchio (indesiderato) più grande nel nostro paese: il porno.

Inferno Rosso – Joe D’Amato sulla via dell’eccesso è un documentario presentato come proiezione speciale alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia. Diretto da Manlio Gomarasca e da Massimiliano Zanin, il film vanta il supporto di grandi nomi del cinema internazionale, che riconoscono l’importanza e l’influenza del cinema di Joe D’Amato sulle attuali generazioni di cineasti. A partire da Nicolas Winding Refn, che presenta e introduce il film, fino agli interventi di Eli Roth, Lamberto Bava, Ruggero Deodato e tanti altri.

Indubbiamente, il nome di Massaccesi /D’Amato (o dei suoi numerosi altri pseudonimi) non vanta di grande prestigio in patria. Qui, infatti, viene ricordato come “il re del porno”, concentrandosi sugli ultimi scampoli della sua carriera, piegata dalle esigenze economiche, a discapito di oltre vent’anni di cinema caratterizzato sì, da bassi budget e scarse pretese, ma anche da un indiscusso talento, energia e soprattutto una completa dedizione alla settima arte. Qualità che emergono in maniera indiscutibile dalle tante testimonianze riportate all’interno del documentario dai tanti cineasti che hanno incrociato il suo percorso.

Il cinema di D’Amato si andava a inserire in un periodo storico in cui le maglie della censura, per la prima volta, cominciavano ad allentarsi. Il pubblico voleva sperimentare quello che per decenni gli era stato negato e il regista italiano, con i suoi film di serie b, non ha fatto altro che intercettare questa esigenza, producendo e dirigendo esattamente quello che il mercato richiedeva. L’erotismo esotico, il sesso e la violenza estrema e catartica sono gli elementi che più hanno caratterizzato il suo stile spregiudicato. Una carriera che, per questo, può vantare anche decine di denunce e condanne per le accuse più disparate.

Il cineasta, ma soprattutto l’uomo, conosciuto con il nome di Joe D’Amato non merita di certo di cadere nell’anonimato provocato dalle fallaci etichette che gli sono state attaccate dopo la sua morte (avvenuta nel 1999). Le sue provocazioni e le sue sperimentazioni hanno sfidato le convenzioni cinematografiche e sociali, entrando “sotto la pelle”, anche inconsapevolmente, di qualunque appassionato di cinema dell’ultimo mezzo secolo. Il documentario di Gomarasca e Zanin riesce indubbiamente a restituire tutto ciò, grazie a interviste affettuose e precise, tantissimo materiale d’archivio e alcune felicissime scelte di montaggio e grafiche, a partire dai memorabili titoli di testa, capaci di buttarci nella narrazione con un’energia e una visionarietà degna degli stessi film di Joe D’Amato.

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