BERLINO – In un febbraio particolarmente mite per le latitudini berlinesi, sono molti i film del concorso a ricordarci il grande freddo, dalla Norvegia di In order of disappearance al Polo Nord di Aloft, che riporta in competizione la peruviana Claudia Llosa, Orso d’oro con La teta asustada nel 2009. Ma è evidente che qui il ghiaccio è altamente metaforico oltre che affascinante come location. La regista ci racconta infatti la storia di Nana (Jennifer Connelly), mamma single di due maschietti, il più piccolo dei quali, Gully, è affetto da un tumore al cervello incurabile. La giovane donna che lavora in una fattoria canadese (e la scena iniziale ce la mostra con le mani insanguinate mentre fa partorire una scrofa) è disperata e non rinuncia a nulla pur di salvare il piccolo, anche a costo di trascurare il più grande, Ivan, che ha ereditato dal padre la passione per i falconi ammaestrati. Mentre Nana si rivolge a una specie di guaritore, che potrebbe anche essere un ciarlatano, la tragedia si consuma.
Molti anni dopo una giornalista (Mélanie Laurent) va a cercare Ivan ora cresciuto (Cillian Murphy) dicendo di volerlo intervistare sull’allevamento dei rapaci. Scopriamo così – ma i piani temporali si intrecciano di continuo – che Nana ha abbandonato Ivan dopo la morte di Gully e si è rifugiata all’Estremo Nord seguendo le orme del guaritore e mettendo a frutto le sue stesse capacità di pranoterapeuta.
Girato in Canada con un cast internazionale, il film è piuttosto ingarbugliato e astruso, ma ha trovato compratori sia negli Stati Uniti che in America Latina sicuramente grazie alla presenza di Jennifer Connelly nel ruolo principale. L’attrice 43enne, scoperta da Sergio Leone ai tempi di C’era una volta in America (1984), è in effetti in un momento d’oro della sua carriera continuato dopo l’Oscar per A beautiful mind. A breve la vedremo nell’epico Noah di Darren Aronofsky di nuovo in coppia con Russell Crowe che lei descrive come “un film biblico e contemporaneamente un dramma familiare”. Quindi sarà il marito, l’attore Paul Bettany, a dirigerla nel suo debutto da regista Shelter, una storia d’amore tra due diseredati in cui lei si innamora di un homeless nigeriano a New York.
Entusiasta di Aloft, Jennifer lo considera una delle esperienze più gratificanti della sua carriera, nonostante il basso budget. “All’opposto di Noah, che ha avuto quattro mesi di set, qui le riprese sono state veloci, concentrate in poche settimane, la troupe ridotta al minimo. Eppure mi sentivo totalmente soddisfatta e felice”. “Aloft – spiega Claudia Llosa – è un viaggio attraverso i mondi dell’arte e della natura per esplorare il significato della guarigione e della morte che ci costringe a confrontarci con concetti immensi come amore, ordine, caos, fede, concetti impossibili da comprendere con la sola mente razionale”. Nana è una donna dura, che compie delle scelte estreme, forse per proteggere suo figlio dal suo stesso violento risentimento. “E’ un personaggio complesso e poco simpatico, che può suscitare un giudizio negativo perché non riesce a essere comprensiva verso suo figlio Ivan, ma trovo molto coraggioso averla messa al centro del film”, dice ancora l’attrice. Mentre per la regista uno dei temi del film è “imparare a comprendere la nostra natura e non contrastarla. È forse la cosa più difficile che dobbiamo fare nella nostra vita e l’arte ci può aiutare con la sua capacità di catarsi”.
Alla prossima edizione della Berlinale, 5-15 febbraio 2015, sarà presentata una retrospettiva dei film del regista, a cui il festival renderà omaggio. lo ha annunciato il direttore Dieter Kosslick
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L'Orso d'oro e l’Orso d’argento per l’interpretazione maschile vanno al fosco noir Black coal, thin ice di Diao Yinan insieme al premio per il miglior contributo tecnico alla fotografia di Tui na di Lou Ye. Un trionfo cinese a conferma della forte presenza al mercato di questa cinematografia. Importante anche l’affermazione del cinema indipendente Usa che ha visto andare il Grand Jury Prize a Wes Anderson per il godibilissimo The Grand Budapest Hotel. Il talentuoso regista ha inviato un messaggio nel suo stile: “Qualche anno fa a Venezia ho ricevuto il leoncino, a Cannes mi hanno dato la Palme de chocolat, che tengo ancora incartata nel cellophane, finalmente un premio a grandezza naturale, sono veramente contento”. Delude il premio per la regia a Richard Linklater che avrebbe meritato di più