VENEZIA – Nel 2009 The Road di John Hillcoat, tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy, aveva scioccato il Lido con le sue derive cannibalistiche e la sua disperata e violenta visione dell’Apocalisse su scala mondiale. Oggi, sempre tratta da McCarthy, arriva a Venezia un’Apocalisse personale, quella del serial killer necrofilo Lester Ballard, protagonista – in senso tecnico, perché la storia prende il suo punto di vista e non quello di chi gli dà la caccia, come spesso avviene – del Child of God di James Franco, in concorso alla 70ma Mostra. L’attore e regista, tra l’altro, è presente anche a Orizzonti (come interprete) con Palo Alto, tratto dal suo In stato di ebbrezza, ma diretto da Gia Coppola. La tematica è dura, il film esplicito, crudo, minimalista. Alla faccia spigolosa ed espressiva di Scott Haze spetta il compito – molto ben eseguito – di rendere fruibile questa discesa all’inferno anche per lo spettatore, aiutato anche da una colonna sonora vibrante che contrappunta le gesta dell’assassino, in realtà poco più che un povero diavolo spinto all’estremo della sua coscienza da una società che lo scansa e lo disprezza, con suggestioni country di grande atmosfera. Chiediamo al regista com’è nata questa scelta.
Cos’ha trovato in Haze che l’ha spinta a sceglierlo per il ruolo?
Avevo per le mani tanti grossi nomi ma lui era la persona giusta, ha fatto un lavoro incredibile. Non doveva sembrare solo un maniaco barbone, mi serviva un tramite per la platea e lui è stato la scelta ideale.
Cosa l’ha colpita del libro di McCarthy?
Me lo ha chiesto lui stesso: “perché vuoi fare questo film?”. E io gli ho risposto con un’altra domanda: “perché hai voluto scrivere questo libro?”. Non ha saputo veramente rispondermi, gli venivano solo motivazioni stupide. In sostanza, non so dare risposte neanch’io. Mi ha affascinato l’idea di esplorare la psicologia di un uomo posto in situazioni estreme. E’ la storia di un reietto, di un estromesso che vive in totale solitudine. E’ fuori dalla civiltà. Vorrebbe connettersi con gli altri ma non ne è capace. Vorrebbe socializzare, ma non può. Deve ricorrere ad altri metodi, per avere rapporti. Nel romanzo, in particolare, mi ha colpito la scena in cui lui trascina goffamente un cadavere su una scala: è un assassino, ma non mica poi così bravo. C’è un aspetto di inadeguatezza in lui che arricchisce il personaggio, non ho mai visto né letto niente del genere, prima. E’ anche comico, buffo. Ho cercato dei modi per mettere il pubblico in sintonia con lui, ho cercato la compassione. Non è solo un maniaco. E’ un isolato, chiunque posto nelle sue condizioni potrebbe trovarsi a fare lo stesso. Scott, senza che glie lo chiedessi, ha passato la notte nelle caverne per tre mesi, per calarsi nella parte. Quando è arrivato sul set aveva davvero un’aria stralunata. Se ne stava da una parte e non parlava con nessuno. Aveva colto l’aspetto selvatico e animalesco del personaggio.
C’è voluto molto tempo per ottenere i diritti?
Lessi il libro sette anni fa e capii che c’era qualcosa che mi dava i brividi. Ce n’è voluto di tempo ma una volta ottenuto il permesso nulla mi ha più fermato.
Sembra che le piacciano i film tratti da romanzi. Perché se ne fanno così tanti, magari a scapito di storie originali?
Ho lavorato su un libro di Faulkner con As I lay dying, e sto preparando Bukowski, come sapete. Ma sono film strutturati in modo del tutto diverso. Poi non penso che un’opera originale sia per forza migliore di un’opera tratta da un romanzo, non a caso l’Academy ha creato appositamente due categorie per gli Oscar. Amo realizzare film tratti da autori che amo. Se McCarthy mi fa questo regalo, io mi impegno per fare del mio meglio.
Del libro, però, ha cambiato il finale…
Non proprio. C’era in più un epilogo con il killer che andava in prigione e moriva. Ma prima si ritrovava insieme ad altri assassini come lui. McCarthy ha sempre avuto una visione oscura dell’umanità. Magari ora che ha un figlio vede una luce di speranza. Ma per lui il male non muore mai, il senso è che dentro ognuno di noi alberga l’oscurità. Anche nel mio film il male non muore, quindi simbolicamente parlando sono rimasto fedele alla fonte.
Si è ispirato a qualche fatto di cronaca particolare?
Io no, ma McCarthy sicuramente si è rifatto a Ed Gein, il killer che ha ispirato anche Psycho e Non aprite quella porta, che ha esercitato una grande fascinazione sugli Usa. Nel villaggio dove è nato si recitano annualmente spettacoli sulla sua vicenda. Il mio modello però è Taxi Driver, in quanto film dove il pazzo è i vero protagonista. Di solito quando hai a che fare con un personaggio di questo tipo lui è la nemesi, e tu lo vedi attraverso gli occhi dei poliziotti e dei detective che gli danno la caccia. Io non volevo fare un thriller o un horror, volevo che il film fosse lo studio di una psicologia particolare. E volevo che il pubblico riuscisse comunque a guardarlo e a seguirlo, a identificarsi.
E, in questo senso, non le pare di aver esagerato con la violenza?
Per me non è nemmeno troppo violento, rispetto ad altri film. E’ chiaro che quando parli di quel tipo di personaggio ti devi spingere oltre i limiti, per lasciare un segno.
La società è colpevole della deriva del singolo?
Non posso metterli sullo stesso piano ma anche i concittadini di Ballard sono dei violenti. La violenza è sottotraccia, anche quando si organizza e viene governata dalla legge.
Si è riservato un cameo…
Sì, ma non per attirare l’attenzione. Qualcuno doveva fare quella parte, e l’ho fatta io.
La musica ricopre un ruolo fondamentale…
Il libro era ambientato in Tennessee, ma noi abbiamo girato in West Virginia e usato musicisti locali, che hanno suonato per noi live. Niente studio. Poi c’era uno score, realizzato da Aaron Embry. Anche la musica mi è servita per mitigare alcuni aspetti de personaggio. Non volevo che il pubblico provasse per lui solo repulsione, e chiaramente nemmeno per il film. Volevo che la musica riuscisse a far uscire un altro aspetto del personaggio, non dico simpatico, ma sottolineare i momenti in cui il pubblico può collegarsi a lui, aiutare a non vederlo solo come un mostro. Mi ha aiutato moltissimo.
Domanda inevitabile. Preferisce fare l’attore o il regista?
Sono due cose più simili di quanto si pensi. Si contribuisce in modi diversi a dar vita a una storia, da diverse posizioni. E’ responsabilità e collaborazione. Sono stato attento allo stile, a giustificare il senso di ogni scena. La capanna del killer è come una piccola scatola. Ci ho girato attorno come un cubo, stando attento agli elementi del personaggio che venivano fuori pian piano.
E quando dorme?
Adesso.
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