Istituto Luce-Cinecittà presenta il nuovo documentario curato da Italo Moscati – 1.200 km di bellezza – un affresco visivo del nostro Paese, tra bianco&nero e colore in alta definizione, risalendo l’Italia, da Sud a Nord, in un viaggio di volti e paesaggi, nel nome delle arti. L’autore ci racconta il progetto, presentato in anteprima a Catania e stasera a Roma, Complesso del Vittoriano (Ala Brasini – Sala Verde – Via San Pietro in Carcere), alle ore 18.
Moscati, da cosa è nata l’esigenza di ‘raccontare l’Italia’?
Per anni ho fatto documentari sulla grande Storia, potendo vedere tanto materiale del Luce, così ho proposto di usare questo materiale, girato benissimo dagli operatori di Cinecittà, per raccontare, in un modo che non si è mai visto, la Storia dell’Italia, dal 1924 ai giorni nostri. Ho immaginato il ‘Grand Tour’ letterario del ‘700-800 rivisitato di immagini attinenti al territorio, all’arte e alla vita quotidiana, ma con le emozioni di quei viaggiatori, in modo da non fare una polemica scontata sui mali della bellezza abbandonata, ma di far fare allo spettatore un confronto con un’epoca che pareva un eden rispetto all’oggi, in cui abbiamo un po’ dimenticato il dovere di tutelare e proteggere la bellezza del nostro ambiente. Mi sono ispirato a un libro di James Hillman, grande psicologo, che dice che se la gente sentisse nella vita l’importanza della bellezza probabilmente scenderebbe per le strade per reclamarla.
Con che intento ha condotto le ricerche nell’Archivio Luce? Cosa desiderava trovare di più, cosa cercava in particolare?
Cercavo soprattutto delle immagini che parlassero da sole, che non avessero bisogno di grandi commenti. Mi premeva di trovare questo filo che passasse narrativamente dalla Sicilia alle Alpi, trovando le testimonianze che, secondo me, fossero le più appropriate per comunicare cosa sia la bellezza rispetto al Paese, perché si incorre spesso in troppo stupore e poca cura nel definire questo concetto.
Quante ore, pressappoco, di filmati Luce avete visionato? Quanto tempo è durato il lavoro complessivo?
Il lavoro è stato enorme e non sempre facile, ma per fortuna le persone del Luce che lavorano nell’ambito dei documenti mi hanno dato una mano fondamentale; è stato un lavoro intensissimo che è durato complessivamente circa un anno. Ho potuto, per fortuna, fare appello alla mia memoria, ma nel progredire delle ricerche si sono creati nuovi desideri quindi credo che, senza averli mai contati, avremo visto 800, ma probabilmente anche 1.000, documenti.
C’è, tra le tante immagini dell’Archivio, qualche sequenza che per pregio, rarità, esclusiva, ci tiene a segnalare?
Sì, sono tre: le immagini fotografiche che mettono a confronto i volti degli italiani com’erano all’inizio del ‘900 affiancati a statue dell’Antichità; l’immagine bellissima di Civita di Bagnoregio, che sembra costruita per un film fantasy, mentre è un luogo reale; infine, il ballo delle ragazze siciliane, ai primi del secolo, che termina con un curioso bacio tra due ragazzine in mezzo al verde e alla musica: mi è sembrato un grande augurio per il futuro.
Come ha studiato, poi, l’assemblaggio delle immagini d’archivio con quelle in HD, affinché fossero in assoluta armonia?
Sono partito dal voler mostrare le immagini in bianco&nero, ma con il desiderio di inserire il colore, cosa che il Luce non aveva mai fatto, come materiale narrativo protagonista: ho scelto Matera, anche perché luogo cinematograficamente significativo, oltre ad essere la città scelta quale Capitale della cultura europea 2019. E’ stato appassionante trovare, attraverso la parola e le immagini di ieri e di oggi, un legame. Poi avevo bisogno di tornare anche nella Capitale, con la fontana di Trevi come simbolo, un ricordo cinematografico degli anni ’50 in cui in mezzo alla bellezza pura del monumento giocavano i bambini, tra acqua e statue, a sottolineare che la bellezza sì va salvata, ma dev’essere una cosa fresca, di energia, che i giovani fanno propria. Bisogna trovare dimestichezza con la cultura, affinché possa resistere più a lungo.
Il titolo, come è nato?
Non di rado gli storici hanno sostenuto che l’Italia ha dei problemi a causa della sua estensione in lunghezza, per cui ogni regione è un’entità a sé. Io, invece, ho voluto rilanciare il discorso: la lunghezza, la diversità, deve diventare patrimonio, dobbiamo accettare la diversità come una forza: ho inserito, ad esempio, mezzi di trasporto dell’epoca, mezzi che non si usano più, per far capire che ogni situazione vive in una realtà dinamica, che dobbiamo far diventare patrimonio del nostro Paese.
Quale tipo di distribuzione/destinazione, è previsto abbia il documentario? Arriverà in sala?
La distribuzione è a cura di Luce-Cinecittà: dopo le presentazioni di Catania e Roma, gireremo l’Italia per presentare il film nei festival, nelle Cineteche, con la possibilità di commercializzazione, che stanno studiando al Luce. L’augurio che esca in sala è grande, il presidente Roberto Cicutto ha questa intenzione, naturalmente auspico che l’azienda riesca in questo intento, perché il lavoro è stato fatto per il Paese, perché favorisca una conoscenza, anche grazie alla sensibilizzazione che è stata fatta al MiBACT, perché confidiamo nell’efficacia di questa rappresentazione dell’Italia, così poco solita, da prendere, spero, anche come atto di anticonformismo, e non solo come la solita lode alla bellezza italiana.
In fondo avete compiuto anche un’operazione sulla memoria del Paese, importante soprattutto in questo momento storico.
Stimolare nello spettatore il rimorso di non aver fatto quello che si poteva fare, quindi anche di non aver partecipato in prima persona a questa costruzione/conservazione di bellezza, mi sembrava fosse cosa utile da sottolineare.
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