MILANO – È ancora nera Milano, lo sono (i quartieri di) Lambrate, San Siro, Isola e Magenta: è nera nello sfavillio cromatico dell’animazione che Federico Cadenazzi, regista, mette in scena con Italica Noir: i ferri del mestiere, 4 episodi – appunto ambientati ciascuno in uno dei suddetti spaccati urbani della città -, quattro storie antologiche tra prostituzione, bande, gentiluomini e giustizia.
È un ritorno quello della serie, qui alla seconda stagione: se nella prima la voce narrante era quella di Adriano Giannini, per questa immersione nel true crime meneghino è il rapper Jake La Furia “a parlare”.
L’animazione – linguaggio più che mai capace di raccontare qualsiasi contesto, tra l’apparente surrealtà insita in sé e l’abile capacità di amplificare oltremodo la realtà – ricostruisce il tempo, quello che si spalma tra gli Anni ’40 e gli ’80, una cronologia fatta di atmosfere, cronaca, Storia italiana.
L’episodio 1 è Lambrate, ma siamo a Rebibbia – Roma, cerimonia di matrimonio di Renato Vallanzasca, testimone Turatello. E cosa c’entra Lambrate, dunque? I due signori sono cresciuti nel quartiere milanese, tra povertà e criminalità: era un destino scritto quello di diventare boss delle due bande più importanti della Milano di Piombo, Anni ’70. Vallanzasca è un signorino che ama la bellezza delle donne e del denaro, mentre Turatello è celebre per frequentazioni mafiose e con le BR: il contrasto per l’egemonia del territorio non manca, finché si ritrovano in carcere, luogo dell’amicizia, mentre oltre le sbarre è Angelo Epaminonda a essere incoronato re della malavita.
Si torna indietro nel tempo, al ’58, e siamo a Via Osoppo, cuore di San Siro e del secondo episodio: qui avviene quella che i giornali hanno chiamato la “rapina del secolo”, colpo dalla mente di Ugo Ciappina, ex resistente e partigiano, che da tre anni raggruppa sei criminali e traccia la rapina perfetta. Il “costume di scena” sono delle tute blu e l’azione è l’assalto a un portavalori: disarmano le guardie e raccolgono oltre 100 milioni di lire, una cifra spropositata. È un colpo grosso ma pulito, nessuna arma, nessuna vittima, nemmeno un ferito. Ma se il colpo è stato perfetto, la fuga no: non si tratta di 7 professionisti fatti e finiti e infatti banali errori di prosieguo li portano al gabbio di lì a poche giornate.
Per il terzo episodio si va a Isola, quartiere oggi sofisticato e residenziale ma negli Anni ’70 terra del “solista del mitra”, questo il nome d’arte criminale di Luciano Lutring, dapprima bambino incantato dalle gesta epiche di Ezio Barbieri, avventore malavitoso Al Crimen Bar, di proprietà dei genitori del piccolo. Barbieri era nato e cresciuto a Isola, negli Anni ‘40 rapinava industriali e imprenditori e poi, nel suo quartiere, distribuiva la refurtiva ai poveri, un Robin Hood all’ombra della Madonnina, insomma. Luciano eredita da Ezio la nobiltà dei modi, infatti ha l’eleganza di portare l’arma dentro la custodia di un violino, così come porge una rosa alle signore prima di rapinarle: è un gentiluomo – un pittore e poeta – nonché autore di oltre cinquecento rapine fra l’Italia e la Francia.
Dulcis in fundo siamo nel quartiere Magenta (episodio 4), è il 25 settembre 1967: rapina in Largo Zandonai. Pietro Cavallero guida la banda, di formazione torinese. Di per sé il fatto non stupisce la Milano di allora, ma la fuga non rispetta il “decalogo” non scritto e sulla via fuggiasca terrore e morte, inseguimenti e sangue, e la rottura del patto saldo nella Ligera: cittadini, soprattutto bambini e donne, mai devono essere coinvolti, mentre questa volta la meneghina è messa a ferro e fuoco, con una mezz’ora d’inferno in cui cadono quattro passanti, oltre a dodici feriti. Un casello ferroviario nell’alessandrino, 8 giorni di fuga e oltre 600 uomini per la cattura.
La seconda stagione sarà disponibile su Mediaset Infinity dall’11 dicembre: la serie è una co-produzione Infinity LAB, laboratorio permanente di Mediaset Infinity che individua e premia il talento di filmmaker e case di produzione indipendenti.
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