Le due squadre che si sfideranno oggi nella quarta partita di Euro 2024, Italia e Albania, hanno in comune molto più di quanto possa sembrare. A separarle c’è solo una sottile striscia di mare di appena 71 chilometri, che nei secoli è stata solcata innumerevoli volte per i più vari motivi. Per questo motivo la popolazione di immigrati albanesi in Italia è numerosissima, oltre 400mila persone (circa l’8% di tutti gli stranieri presenti nella penisola). Numeri che fanno ancora più impressione se si considera che la nazione con capitale Tirana ha attualmente una popolazione interna che non raggiunge i tre milioni. La maggior parte di queste persone è arrivata nel nostro paese nei primi anni 90, subito dopo la caduta del comunismo. Per loro l’Italia era un luogo idealizzato di ricchezza e prosperità, un sogno alimentato da ciò che vedevano in televisione e che sentivano alla radio.
Iconico è l’episodio della nave Vlora, sbarcata a Bari nel 1991 con a bordo più di 20mila migranti in fuga dalle coste albanesi. Un’immagine potentissima e dal grande fascino che ha recentemente ispirato ben due documentari usciti per celebrarne i 30 anni. Il primo è La nave dolce, titolo che ironizza sul fatto che la Vlora avrebbe dovuto portare un carico di zucchero. Diretto da Daniele Vicari, il film è stato presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Il secondo è Anija – La Nave di Roland Sejko, che si concentra anche sull’esodo del 1997, che vide lo sbarco di centinaia di navi in fuga dall’anarchia albanese. Distribuito da Luce Cinecittà, il film vinse il David di Donatello al miglior documentario.
Proprio il regista nato a Tirana e adottato da Roma è probabilmente l’esempio migliore del doppio filo che lega l’Albania all’Italia in ambito cinematografico, un vero e proprio ponte che ci ha permesso di colmare quella seppure breve distanza tra le due coste. Documentarista e direttore della redazione editoriale dell’Archivio Luce, la produzione filmica di Sejko torna spesso nel suo paese d’origine, a partire da Albania, il paese di fronte del 2008, per arrivare ad altri due film prodotti e distribuiti da Luce Cinecittà. Nel 2015 L’attesa, il racconta dei 50 anni in cui in Albania è stata vietata la libertà di religione, nel 2021 il pluripremiato La macchina delle immagini di Alfredo C., storia del cineoperatore Alfredo Cecchetti che per cinque anni ha girato le immagini dell’Albania occupata dal regime fascista, prima di trovarsi, da un giorno all’altro, a fare lo stesso lavoro per un quello comunista.
Passando ai film di finzione, non possiamo non citare Vergine Giurata, celebrata opera prima di Laura Bispuri. Distribuito anch’esso da Luce Cinecittà nel 2015, il film ha come protagonista Alba Rohrwacher nei panni di Hana, giovane donna che viene costretta dalle regole dei montanari albanesi a vivere come un uomo, salvo poi riscoprire la propria femminilità una volta giunta in Italia. Presentato a Berlino e poi premiato a Hong Kong e al Tribeca, il film ci offre uno sfaccettato punto di vista sulla cultura e sulla tradizione balcanica. Lo stesso discorso vale per La faida, film diretto da Joshua Marston e vincitore dell’Orso d’argento alla miglior sceneggiatura nel 2011. Intrigante thriller che ruota attorno all’antico codice del Kanun. Vendette e faide familiari per un’avvincente storia impregnata di sangue.
Ma il sognante mondo balcanico del Paese dell’aquila a due teste, nella sua semplicità rurale, sa offrire tantissimi spunti narrativi. Come quello di Bota Café diretto da Iris Elezi e Thomas Logoreci, ennesima produzione italo-albanese che ci racconta dell’apparente esistenza noiosa di Beni, Juli e Nora la cui vita verrà stravolta dalla costruzione di un’autostrada proprio nei pressi del bar dove passano le loro placide giornate. Metafora semplice e meravigliosa di una nazione che, lasciati indietro le macerie della dittatura comunista, si affaccia con curiosità al mondo moderno.
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