Esce in sala il 17 agosto con MUBI e Lucky Red Passages di Ira Sachs, passato in anteprima al Sundance e poi a Berlino.
Il film è prodotto da Saïd Ben Saïd (noto per Elle e Bacurau) e Michel Merkt (che ha lavorato a Vi presento Toni Erdmann). Nel cast del film troviamo Ben Whishaw (che ha recitato in Skyfall, Paddington e Women Talking – Il diritto di scegliere), Franz Rogowski (acclamato per Great Freedom, La donna dello scrittore e Victoria) e Adèle Exarchopoulos, vincitrice della Palma d’oro a Cannes per La vita di Adele e presente anche in The Five Devils.
La pellicola si svolge nell’atmosfera contemporanea di Parigi e racconta la costante battaglia dei desideri tra tre persone, in cui la felicità sembra sempre sfuggire. Con una fotografia raffinata e interpretazioni sincere e profonde, Sachs ha creato un intenso dramma che esplora le intricazioni, le contraddizioni e le crudeltà dell’amore e del desiderio.
Dopo aver concluso il suo ultimo progetto, il regista Tomas (interpretato da Franz Rogowski) si lascia trascinare in modo impulsivo in una relazione intensa con una giovane insegnante di nome Agathe (interpretata da Adèle Exarchopoulos). Per Tomas, l’esperienza di essere con una donna rappresenta una novità eccitante che desidera approfondire, nonostante sia sposato con Martin (interpretato da Ben Whishaw).
Quando anche Martin inizierà una relazione extraconiugale, il lunatico Tomas torna a concentrare la sua attenzione sul marito.
Con maestria, Sachs crea una trama credibile per queste tre persone che si trovano di fronte a una scelta cruciale.
Una narrazione che avrebbe potuto facilmente scivolare nel melodramma più banale, ma Sachs riesce a trattarla con rispetto, senza mai enfatizzare i momenti o le sfide più di quanto siano nella realtà.
“Ho scritto il film pensando al protagonista Franz Rogowski, che avevo visto in Happy Ending di Haneke – dice Sachs – ero entusiasta ed ispirato. Ho iniziato prima del lockdown, che mi ha messo una grande insicurezza, proprio circa la sopravvivenza del cinema per come lo conoscevamo. In testa avevo solo di fare il film che avrei voluto a vedere. E’ un film sull’intimità, basato sugli attori e che si prendesse dei rischi. Volevo fare un film azzardato, pericoloso, sullo stile de L’innocente di Visconti. In quanto regista io mi considero un uomo di potere ma in quel momento lo avevo perso, e il film di Visconti mi ha molto guidato”.
Il film sembra avere dei tratti autobiografici, ma il regista vede la questione in maniera sfumata: “Sempre con riferimento a Visconti, Franz è la mia Laura Antonelli. Da uomo gay, avere certe sensazioni nei confronti di Laura è stato molto particolare. Se la mia musa erotica cambia, allora posso dare anche una direzione differente al mio cinema. Durante la preparazione avevo 55 anni, mentre i protagonisti sono molto più giovani e non è un film che parla specificamente di identità sessuale, piuttosto è un film generazionale, e questo rende il film più moderno. Il protagonista comunque è un regista, uomo di potere, maschio bianco e mi ci rivedo. Mi chiedo sempre le conseguenze del mio comportamento. Cosa accade quando un uomo come me si comporta male? Io personalmente lavoro in maniera diversa dal personaggio: agli attori offro confort e possibilità di mettersi a loro agio, non faccio nemmeno le prove e non do ordini. Corro dei rischi, a modo mio”.
Rogowski nasce come ballerino. “L’esperienza se la porta dietro – commenta ancora Sachs – usa il corpo trasmettendo molte sensazioni ed emozioni. Il film è la storia di un uomo di potere che alla fine finisce a terra. Parte con il successo delle riprese del suo film e infine lo vediamo letteralmente sul pavimento, mettendosi prima in ginocchio. E’ un’autentica coreografia, e lui ha la giusta comprensione del corpo per esprimere il passaggio. La coerenza del personaggio è rappresentata dal suo desiderio. C’è uno stacco tra quello che ha e quello che vorrebbe avere. E’ il suo filo conduttore. Rappresenta l’autorità ma ricerca il piacere, in tutti i modi possibili. Allo stesso modo c’è il mio desiderio di far piacere al pubblico, con attenzione al dettaglio in ogni aspetto, dalla fotografia ai costumi”.
In questa prospettiva, non mancano molte scene di sesso, attentamente coreografate, sia etero che gay: “Come regista e come sceneggiatore so che non puoi scrivere completamente una scena di sesso per gli attori – dichiara il regista – Puoi creare il quadro ma sono loro a doverla interpretare. Devono essere a loro agio, bisogna rispettarli, ci sono dei limiti di cui sono consapevole, dopodiché ci sono l’improvvisazione e il movimento dei corpi. Sono loro ad esprimere i dettagli, non potrei mai essere io a farlo con la penna, i loro corpi scrivono i paragrafi della scena. Io mi metto quasi nella posizione del pubblico. Sono il regista, ma anche l’osservatore, e questo mi permette di anticipare cosa può provare lo spettatore”.
Ma perché le scene di sesso gay sono ancora un tabù nel cinema? “Viviamo con la convinzione che le cose si muovano sempre verso il progresso, ma io per fare questo film sono dovuto tornare indietro negli anni ’70 e ’80, un periodo in cui eravamo meno repressi. Mi sono dovuto ricordare cosa era possibile raccontare con le immagini, e allora mi sono sentito autorizzato a creare immagini trasparenti e senza vergogna. In questo film non c’è senso della vergogna o del peccato. Non lancio messaggi specifici. Nessun manifesto. Sapete come si dice, no? Se vuoi mandare un messaggio, usa le Poste. Conta l’impatto che il film avrà sul pubblico, e quello che il pubblico ci vede. Si può leggere e interpretare una storia in mille modi, ma non volevo fare un film a tema. Piuttosto, guardando il film si osservano i protagonisti, ma vedi anche le persone vere che ci sono dietro, ovvero gli attori. O meglio, come esseri umani che sto filmando. Questo ci permette di vedere relazioni e rapporti umani in maniera diversa e nuova. Abbiamo l’impressione di conoscerli anche se sono delle star del cinema. Mi sono sforzato però di fare un film con la F maiuscola, per esempio per quanto riguarda i costumi. Avevamo due sezioni: quelli che secondo noi erano adatti al personaggio di Agathe, e da un’altra costumi alla Brigitte Bardot, estremamente cinematografici. Abbiamo scelto i secondi, sempre con attenzione al realismo, ma pensando in grande”.
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