Si potrebbe prendere per una commedia, Ippocrate, film del 2014 ora in uscita con Movie Inspired, che parte proprio con un tono lieve e scanzonato per poi condurci dentro al dolore che tutti ci riguarda, quello della malattia e della morte ma in punta di piedi e senza “fare drammi”. Il protagonista, Vincent Lacoste, è un giovane laureato di belle speranze che inizia il suo tirocinio presso l’ospedale diretto dal padre, uomo potente, rigido e assai disinvolto nella gestione dei problemi e delle grane (Jacques Gamblin). Camice più grande di due taglie con tante macchie – ma sono macchie pulite, come gli dice l’inserviente che glielo consegna – il 23enne Benjamin è sicuro di sé quanto basta per fare disastri nel reparto di medicina interna dove il personale infermieristico è al lumicino e i macchinari sono spesso guasti in nome del nuovo imperativo della redditività e dei tagli alla sanità che ha sostituito il Giuramento di Ippocrate.
E così la commedia volte progressivamente ma inesorabilmente in dramma mettendoci di fronte con sincera partecipazione – il regista Thomas Lilti. che due anni dopo girerà Il medico di campagna, ha studiato medicina e conosce bene ciò di cui parla – ai dilemmi morali che si annidano in questa professione ben più difficile di quanto possa sembrare, “più che un mestiere, è una maledizione”. Benjamin si confronta infatti, in un rapporto di fruttuoso scontro che sfocia nell’amicizia e nelle solidarietà, con un medico algerino esperto, il dottor Rezzak, costretto come straniero a ripetere in Francia il tirocinio professionale. Rezzak (Reda Kateb, attore molto efficace fin dalla sua prima prova ne Il profeta, che per questo film ha vinto il César come miglior non protagonista) ha dalla sua non solo l’esperienza ma soprattutto un bagaglio umano che il ragazzo dovrà costruire sulla propria pelle in una sorta di percorso iniziatico. Sono due i casi che questi dottori si trovano a fronteggiare: la morte di un alcolista affetto da pancreatite cronica, ricoverato con dolori fortissimi, che si aggrava in una notte in cui Benjamin è da solo di guardia, e il calvario di Madame Richard, una signora 88enne piena di metastasi che desidera solo porre fine alle proprie sofferenze.
Lilti riesce a tenere il tono del film in equilibrio tra i vari registri e parla di argomenti serissimi come il fine vita senza dare lezioni di etica ma con una verità riconoscibile a chiunque abbia affrontato simili scelte.
Il confronto con i telefilm americani di ambiente medico è serrato e dichiarato (c’è una tv accesa nella sala del personale paramedico su una puntata di Dr. House) ci rinvia direttamente alle serie di successo dove i dottori sono avvenenti e in pieno controllo della situazione): “Sapevo che avrei dovuto prendere le distanze dall’immaginario collettivo dell’ospedale mediato dalle serie tv – spiega il regista – Tanto più che la realtà è molto diversa. In tv la rappresentazione dell’ospedale avviene attraverso immagini stereotipate”. E la sua ricerca di realismo, di fedeltà anche alle esperienze autobiografiche, è accentuata dalla presenza di veri infermieri nel cast. Anche per esaltare il sottotesto politico, con quella dimensione corale, gli scioperi contro le carenze della struttura in cui il personale si attacca al camice la scritta “en greve” e continua però a prestare i servizi essenziali ai malati. “Qualcuno ha detto che si può capire l’età di un paese dall’età delle sue carceri – dice ancora Lilti – credo che valga anche per gli ospedali”. Dalla Francia all’Italia il passo è breve.
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