‘Imago’, Olga Chajdas: “Al cinema chiedo di essere audace”

La regista, ospite del Seeyousound, presenta il suo film ambientato nel 1989, sullo sfondo delle prime elezioni democratiche polacche. La storia vera di una cantante post-punk affetta da un disturbo bipolare


Tra autenticità storica e simbolismo, con un animo profondamente post-punk, l’ultimo film della regista polacca Olga Chajdas, Imago, accende il Seeyousound 2025 di un’incontenibile anarchia. Protagonista di questa storia ambientata sul finire degli anni ’80 è Ela, giovane cantante affetta da un disturbo bipolare, realmente esistita e interpretata dalla figlia Lena Góra. Una storia che incarna lo spirito ribelle della galassia undeground di quegli anni di confine, in bilico tra vecchie ferite e nuove speranze. All’orizzonte, le prime elezioni libere del 1989, sogno di una democrazia.

Partiamo dall’ambientazione del film. Siamo negli anni ’80, un periodo di grandi cambiamenti politici e sociali, specialmente per i paesi dell’est Europa. Come hai bilanciato il contesto storico con la storia personale della protagonista?

Per me, era importante trovare il giusto periodo per raccontare questa storia. Cercavo risposta in due fonti di ispirazione. La prima era il contesto musicale di quel periodo in Polonia, che è arrivato un po’ più tardi rispetto al resto dell’Europa occidentale. La seconda è che mi piace sempre trovare un collegamento, anche indiretto, tra l’ambientazione e i personaggi. Per esempio, nel mio primo film, Nina, volevamo trovare location in costruzione, perché la protagonista stessa attraversava una sorta di ricostruzione personale. In Imago, la protagonista compie molte scelte, e il fatto che la Polonia in quel momento stesse vivendo le elezioni e le decisioni più importanti della sua epoca moderna era significativo, anche se né lei né la sua famiglia erano coinvolti nei movimenti di Solidarność o in questioni politiche. A dirla tutta, a lei non importa affatto. Cammina per la strada mentre si svolgono le prime elezioni libere e semplicemente passa oltre. Ma in un certo senso, anche lei sta vivendo le sue personali “elezioni”, delle decisioni cruciali per la sua vita.

Quali sono invece i legami di questa storia con il presente?

Credo che dobbiamo ancora ricordarci quanto sia importante avere la libertà di scegliere, esercitarla e assumerci la responsabilità delle nostre decisioni, che siano personali, che riguardino i diritti delle donne, come l’aborto, o anche solo il semplice atto di andare a votare. Ricordo quando si sono tenute le prime elezioni libere in Polonia nel 1989. Avevo sei anni e mio padre mi prese per mano e mi portò al seggio elettorale. Ricordo la sua emozione, quanto fosse elettrizzato e quanto tutto ciò sembrasse importante per lui. Da adulta, non ho mai saltato un’elezione. Non importa quanto si possa essere delusi dopo il voto, quando vince qualcun altro, ma è un diritto che non possiamo dare per scontato. La libertà, che esploriamo nel film su vari livelli, è qualcosa che non possiamo permetterci di sottovalutare.

Descrivi questo film come “rumoroso”. Il cinema deve essere rumoroso per far sì di essere ascoltato?

Credo che il cinema debba essere audace. Una volta deciso lo stile e il concept, sia dal punto di vista visivo che sonoro, deve essere forte e deciso. L’unica cosa che non mi piace nel cinema è la mediocrità, quelle produzioni che potrebbero andare in qualunque direzione e di cui alla fine non ti importa nulla. Il punto non è fare un film che piaccia a tutti, ma creare un’opera che abbia una dichiarazione forte, un’identità stilistica ben definita.

A proposito di identità stilistica: come hai lavorato sulle scena musicali di Imago?

Innanzitutto, abbiamo deciso di non usare brani già esistenti, quindi abbiamo creato una nuova band. Il compositore è Smolik, un musicista molto famoso in Polonia, e ha scritto sia la musica che i testi, utilizzando solo strumenti dell’epoca. Anche la tecnologia che ha usato – microfoni, cavi, tutto – era degli anni ’80. Ha speso molto tempo a trovare e comprare questa strumentazione vintage. La seconda decisione, la più cruciale, riguardava le scene dei concerti. Invece di registrarle in playback, abbiamo suonato tutto dal vivo. Smolik mi ha raccontato di concerti selvaggi e imprevedibili, dove gli errori non contano, ma conta solo l’energia. Così abbiamo deciso di girare ogni scena dei concerti in presa diretta, anche se sarebbe stato più complicato in post-produzione. Con il playback, per quanto la registrazione possa essere buona, manca la vera emozione. Il nostro gruppo era composto per lo più da musicisti veri, che lavorano abitualmente con Smolik, mentre il leader della band era un attore, e naturalmente c’era la nostra protagonista.

Hai definito questo film “un dramma psicologico post-punk”

All’inizio del progetto, qualcuno mi ha chiesto che genere fosse il film, e io ho risposto così perché è un po’ post-punk e un po’ dramma psicologico. E credo che ciò che conta di più per me sia mettere il personaggio in primo piano. Il nostro approccio alla macchina da presa è molto soggettivo e sensoriale: non sempre mostra ciò che la circonda, ma piuttosto ciò che lei vede con i suoi occhi. Anche la narrazione ha un’anima punk. Abbiamo visto molte registrazioni di concerti con il nostro direttore della fotografia e abbiamo deciso che l’immagine non doveva essere sempre precisa e perfetta. Abbiamo costruito il film su errori controllati, perché le scelte della protagonista sono imprevedibili e spesso discutibili. Lei non è un personaggio necessariamente “simpatico”, ma sono le sue scelte e non sta a noi giudicarle.

È questo il tipo di cinema che vuoi continuare a fare o ora ti muoverai verso un altro stile?

Mi sono promessa anni fa di provare a non annoiarmi mai. Ogni progetto deve darmi qualcosa di nuovo. Ma voglio sempre concentrarmi sui personaggi e sulle donne. E questo è qualcosa con cui mi piace giocare. Che si tratti di questo film, del mio primo film o del nuovo progetto, che è più un dramma erotico-familiare, il filo conduttore rimane. Anche lì, la protagonista è una ragazza che lotta per sua madre. Questo è qualcosa che manterrò come segno distintivo del mio lavoro. Ma mi piace anche esplorare generi diversi.

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26 Febbraio 2025

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