VENEZIA – Il silenzio grande – titolo del film diretto da Alessandro Gassman, dall’omonima opera teatrale di Maurizio De Giovanni, che firma anche la sceneggiatura con Andrea Ozza e lo stesso regista – è quel silenzio che nasce da tanti piccoli silenzi, da tanti piccoli “poi glielo dico” mai detti, che – alla fine, qualsiasi fine – ne partoriscono uno grande (e spesso eterno), come spiega Bettina – un’eccellente Marina Confalone, storica domestica della famiglia – al professor Valerio Primic (Massimiliano Gallo), letterato, scrittore per cui “i libri sono gli arredamenti della mente”, amante del profumo della carta delle pagine e dell’immaginazione, infatti “tenete l’immaginazione perpetua” gli dice la donna, che sempre dietro una porta o fuori da una stanza della grande villa con vista su Capri gioca il ruolo della complice spalla e della confidente del personaggio di Gallo, versatile in un ruolo al contempo romantico, egoista, progressista, finanche inconsapevole del pragmatismo del vivere e della vita.
“Io nasco lettore di De Giovanni. C’è una condivisione di pensiero e vedute, è vivace, attento ai cambiamenti e ha la dote di saper raccontare le azioni e le emozioni tra le persone. Il silenzio grande è un film per cui ci siamo resi conto che la scrittura di De Giovanni permette possa essere considerato un piccolo classico moderno”, commenta Alessandro Gassman, che ha diretto l’opera prima in teatro, passando poi al grande schermo: “per un risultato comune emozionale. Fare il film è stato più complesso: lo sforzo maggiore l’ha fatto Gallo – protagonista già sul palco – nel ridurre il personaggio per il cinema. Inoltre, avevo due grandissime come Marina Confalone e Margherita Buy: era inevitabile che portassero nel gioco profondità e sottigliezza, per un film che vive più di ascolti, infatti volevo far dimenticare il monologo (teatrale)”.
“L’unica soluzione – dal teatro al cinema – era dimenticare il percorso precedente: era l’unico modo per restituire la verità sullo schermo. Siamo andati in sottrazione su tutto, era l’unica via percorribile”, spiega l’attore protagonista.
“Noi due abbiamo trovato un’intesa per il comune lavoro fatto sul dialetto napoletano: anche questo è un pregio, avere una lingua comune ci fa stabilire immediatamente un gioco teatrale. Se si assorbe davvero il personaggio, tra due attori come Gallo e me, questa sintonia si stabilisce immediatamente”, spiega Marina Confalone.
“Napoli è una città capace di grande empatia e la grande capacità di accoglienza continua fa sì che una fucina di talenti si contaminino, pur mantenendo identità territoriale”, rilancia Gallo.
Lo stimatissimo professor Primic, che vive “soffocato” nell’idillio del suo polveroso studio di carta e velluti, luogo quasi impenetrabile per la moglie Rose (Margherita Buy) e i due figli, Adele (Antonia Fotaras) e Massimiliano (Emanuele Linfatti), così da esser detestato in quanto nido e universo dell’uomo: il suo studio lo assorbe a tal punto da renderlo sordo e silente con le persone della sua famiglia, costretta a mettere sul mercato la bella dimora per via dell’indigenza economica dettata dal di lui amore per le Lettere, ricchezza culturale ma non dell’economia domestica quotidiana. Lo studio del Professore si fa scena centrale de Il silenzio grande, è infatti il luogo in cui non solo Primic “vive” la propria esistenza, ma anche quello in cui Rose, Adele e Max, così come Bettina, fendono l’ingresso e danno sfogo ciascuno alle proprie emozioni – quasi in forma di monologo, modalità strumentale allo svelamento del racconto: così la consorte lo accusa di saper solo stare in mezzo ai libri, mentre “un padre deve fare il padre”; il figlio maschio rivendica l’amore paterno additandolo di essere stato un padre che non ha mai avuto bisogno di un figlio, per poi confidargli di essere “come Garcia Lorca”, ovvero omosessuale; e infine Adele, che fin da bimba ha ammirato un papà che però le ha “rovinato la vita”, perché sempre posto come termine di paragone, tanto da averla perennemente indotta a cercare di essere “la bambina di qualcuno”, ricerca affettiva che la porta a scegliere affetti maturi e a “giocare” con la maternità. In questo confessionale di emozioni che è il suo studio, il Professore si dimostra accondiscendente, immaturo, ironico, modernissimo e tradizionalista al contempo, e – tra conflitti, silenzi e intimità – fa capolino in scena anche lo stesso Alessandro Gassman, con due brevi ma ilari siparietti, nel ruolo dell’attore Gianluca Fialeschi, protagonista di un carosello di successo dedicato alla pasta dentifricia, ma anche spartiacque delle sorti della famiglia.
“Questo è il mio terzo film, quello che più riconosco anche vicino al mio gusto di spettatore, che ama toni un po’ rarefatti e con un velo onirico. Sono poi stato aiutato dalle musiche di Pivio e De Scalzi: ci siamo conosciuti sul set de Il bagno turco e la capacità loro è di saper trovare il cuore, essere al centro del motore della storia, sviluppando temi che proprio mi piacciono”, dice il regista.
“E’ tardi, lei non sente”, confessa Bettina al Professore, riferendosi alla moglie Rose, che nelle ultime sequenze, quando la villa ha ormai un acquirente certo, passeggiando in solitudine nei metri quadrati dello studio ormai smantellato, dice espressamente a Primic: “ho bisogno di te”, un’invocazione di presenza cui però lui prende coscenza non faccia seguito l’accoglienza da parte della moglie delle sue parole, disfunzione emotiva che palesa la differenza tra il vivere presente e il vissuto passato, in cui per Rose “la casa è solo calce e legno”, mentre per Valerio “anche le mura hanno un senso”, e di certo, in questo caso, il Professore non ha torto: d’altronde, tutti loro hanno odiato lo studio ma alla fine l’hanno scelto quale luogo sacro in cui parlare… con lui.
“Tutti i padri sono importanti e questo non vuole essere un film autobiografico: a me serviva raccontare una famiglia con all’interno uno straordinario talento per farlo distrarre da ciò che era più prossimo, gli affetti più vicini. Non sempre avere un talento straordinario aiuta a vivere meglio. Questo film vuole essere una carezza, racconta l’Italia del ’65, un Paese in cui si stava bene e la gente aveva la possibilità di parlarsi, abbracciarsi: sicuramente i social stanno cambiando la società, possono essere bellissimi e utili, ma in chi non ha una forte consapevolezza creano paure o violenze”, riflette Gassman.
Il film, presentato alle Giornate degli Autori da Paco Cinematografica e Vision Distribution, in collaborazione con Prime Video, Sky e Rai Cinema, esce in sala dal 16 settembre.
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