“Lei crede nel male?”, domanda l’intervistatrice al presidente Hernan Blanco. “Certo che credo nel male, altrimenti non potrei fare politica”. E’ questa la risposta a suo modo sincera, ma comunque dalle molteplici letture, del capo di Stato, uomo “normale” che arriva dalla provincia, ex sindaco di Santa Rosa, e ha fondato la sua campagna elettorale e il suo successo sull’identificazione con i cittadini e la vicinanza al popolo. Ma che il film di Santiago Mitre ci mostrerà, nelle quasi due ore di durata, sotto una luce completamente diversa e certamente inquietante.
Passato in Un Certain Regard a Cannes 70 e poi al Torino FF, La cordillera – che in Italia esce il 31 ottobre con Movies Inspired col titolo Il presidente – ha al centro la figura di Hernan Blanco (il divo argentino Ricardo Darin, incredibile nel dare al suo sguardo ceruleo le cangianti sfumature etiche proprie del personaggio). Mentre uno scandalo sollevato dall’ex genero, uomo instabile e dedito alla droga, sta per diventare di dominio pubblico in patria, il presidente parte per il Cile, dove deve prendere parte a un vertice che riunisce i capi di Stato latinoamericani in un hotel isolato sulle Ande innevate, un po’ come nell’italiano Le confessioni di Roberto Andò o nel seminale Todo Modo di Petri. Tema del summit è un’allenza petrolifera nel subcontinente con enormi interessi sottostanti.
Il 38enne Mitre (già autore de La patota) scopre le carte molto lentamente lasciando che lo spettatore formuli e modifichi il suo giudizio su quest’uomo politico che appare all’inizio piuttosto incolore, come il suo nome suggerisce: “bianco”, una pagina tutta da scrivere, un uomo buono per tutte le stagioni. Appare certo meno brillante del collega brasiliano – dalle evidenti doti di demagogo – o di quello messicano – con le sue uscite spregiudicate – mentre il convitato di pietra è la Casa Bianca che farà la sua comparsa sotto le spoglie del sottosegretario Christian Slater.
Ma l’elemento thriller, decisivo nella narrazione, è innescato dall’arrivo della figlia di Blanco, Marina (Dolores Fonzi), una ragazza sofferente, che non ha mai accettato la separazione dal marito, con cui ancora si vede di tanto in tanto, e che il presidente e il suo staff cercano di tenere a bada. Quando dà in escandescenze rompendo il vetro di una finestra, viene chiamato un famoso psichiatra cileno (Alfredo Castro) che utilizza le tecniche dell’ipnosi profonda per curare la ragazza, rimasta in stato catatonico dopo l’acting out. E tuttavia il materiale che emerge dalla seduta sembra turbare il padre, che si dice preoccupato della salute di Marina.
Il film si avvale di una rigorosa costruzione scenica (la strada a tornanti che porta all’albergo, le geometrie regolari dell’hotel, le cime innevate) interrotta a tratti da incursioni in una dimensione inconscia che fa della politica il terreno per eccellenza del rimosso.
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