“L’Italia è un paese dove sono i morti a comandare”. E’ una frase, evocativa e misteriosa, che ricorre più volte nel nuovo film di Marco Bellocchio, Il regista di matrimoni, e che si colora di significati politici, ben oltre la polemica contro un’arte e un cinema che si nutrono di modelli imbalsamati. “La televisione è stata padrona del campo in modo assoluto nella campagna elettorale – riflette il regista, candidato per la Rosa nel Pugno – e metà degli elettori hanno creduto alle promesse di Berlusconi. In tanti sono stati annichiliti, hanno subito questa ipnosi, il potere televisivo ha dimostrato di essere onnipotente”. Nel film, quasi un seguito ideale de L’ora di religione, Sergio Castellitto lascia a metà la preparazione di un film ispirato ai “Promessi sposi” e scappa in Sicilia dove si trova coinvolto in un altro matrimonio che “non s’ha da fare”, quello di una principessa triste (Donatella Finocchiaro), di cui il nostro eroe, come in una fiaba tragicomica, s’innamora perdutamente. Per Castellitto le analogie con L’ora di religione sono evidenti: “Anche qui Marco parla di una crisi personale e artistica, ma affronta pure il discorso sull’Italia contemporanea, sebbene vista da dietro le quinte”. Per Bellocchio, che molto probabilmente sarà a Cannes in Un Certain Regard, questo film fa parte della nuova fase del suo lavoro, seguita all’analisi collettiva con Massimo Fagioli: il celebre psicoanalista che ha visto Il regista di matrimoni all’anteprima stampa e l’ha apprezzato. “E’ stato con Il principe di Homburg – dice Marco – che ho ripreso la strada della mia libertà”.
Il David di Michelangelo. “Ci sono due immagini di artista che si contrappongono: Franco Elica e Smamma, che vince il David di Michelangelo perché si finge morto. Elica è alla ricerca di un’identità profonda, Smamma invece è fissato sul riconoscimento esterno e questo lo porta alla rovina. La salvezza è nell’identità personale, che può fare a meno di qualsiasi premio e lode”.
L’ora dell’ateismo. “Affermare il proprio ateismo è molto fuori moda, anzi c’è un’esplosione di conversioni a destra come a sinistra. Da candidato uscente della Rosa nel Pugno sono molto tollerante, ma chiedo altrettanto rispetto.
La ribellione al patriarcato. “Che io sia in difficoltà con le donne lo ammetto, che mi interessino le donne lo ammetto. Nel film c’è un uomo che capisce che è in quel liberare la principessa dal suo matrimonio di convenienza che può vincere o perdere”.
Siamo tutti controllati. “Viviamo estremamente controllati, ma qui c’è un controllo addirittura metafisico, l’occhio di Dio. E poi l’Italia ormai è il paese dei registi, ci sono migliaia di videocamere, migliaia di festival, i reality show sono come l’invasione degli ultracorpi”.
I morti che comandano. “Nell’arte non mi pare che ci sia un rinnovamento, mi pare che il cinema italiano sia dominato da vecchie idee, il discorso della forma è assente. Del resto la storia dell’arte è piena di geni postumi: Van Gogh, da vivo, non aveva venduto neanche un quadro”.
La disperazione di Nanni Moretti. “Il Caimano lo vedrò con tutta calma, ma ho visto tutti i film di Nanni e so che siamo molto diversi. In lui c’è un primato della parola, io invece cerco l’immagine. Lui ha una visione dell’esistenza disperata e cupa, io tento di andare dalle tenebre verso la luce. Comunque non è da me farmi pubblicità andando contro un collega”.
Il cinema italiano salvato dal digitale. “La moltiplicazione dei registi con il digitale porta anche qualche scoperta. Molti giovani fanno film a costi ridottissimi. Quello che mi interessa è la ricerca di nuove forme e in questo so di essere minoritario, ma so anche che è un momento favorevole al cinema italiano, con grandi successi al botteghino”.
La peste di Camerini. “Non ho riletto il romanzo di Manzoni. Lo insegnano ancora nelle scuole ma oggi non c’è più la pregnanza di quando facevamo noi il liceo. Ho rivisto invece varie volte I Promessi sposi di Mario Camerini: da bambino all’oratorio mi costrinsero a vederlo e la peste rimase l’episodio più terrorizzante della mia infanzia”.
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