Il “pasto nudo” dei Piranha in 3D


“Ragazze nude, pesci impazziti, grandi attori, una trama avvincente e il 3D!”. Le parole della produttrice esecutiva Alix Taylor esprimono in pieno l’essenza di Piranha 3D, reimmaginazione stereoscopica a cura di Alexandre Aja – specialista in remake “di paura”, vedasi Le colline hanno gli occhi – di un classico horror di Joe Dante. L’uscita, con Bim, è fissata al 4 marzo.

Si potrebbe sollevare qualche perplessità sui grandi attori e sulla trama avvincente, ma in quanto a belle signorine discinte, mostruosità ittiche e spettacolarità in 3D il film non lesina di certo. Basta e avanza. La pellicola, come del resto il suo prototipo, non pretende certo di essere ricordata per chissà quali contributi alla storia del cinema: diverte con effettacci di categoria bassissima ma di sufficiente efficacia, dura quel che deve durare – 90 minuti scarsi – e si dimentica facilmente, facendosi però apprezzare, oltre che per le “bellezze naturali” (o anche siliconate) di cui sopra, per dei cameo che i cinefili dell’horror e del fantastico apprezzeranno senz’altro. L’apertura, con Richard Dreyfuss in barca che canticchia ‘Show me the way to go home’, è un omaggio diretto a un altro culto del genere “pinne assassine”, Lo squalo di Spielberg: “Volevamo aprire con un pescatore che si ritrova nel bel mezzo di un terremoto e finisce divorato dai pesci – racconta Aja – Stavo pensando a chi avrebbe potuto interpretarlo, quando mi è venuto in mente Matt Hooper, il personaggio de Lo squalo che, ormai in pensione, pesca tranquillo sul lago. Ma non mi illudevo di poter avere Dreyfuss. E invece…si è presentato sul set assolutamente tranquillo, sicuro di sé. Gli occhiali sono i medesimi che portava nel film di Spielberg, ed è vestito nello stesso modo, canta la stessa canzone. Tutto uguale. Si è divertito molto. E’ un cameo fantastico, anzi, qualcosa di più: è un personaggio che torna in vita passando da un film all’altro”. Poi appaiono anche Christopher Lloyd, scienziato pazzo come in Ritorno al futuro – “Ha fatto la sua parte in un unico, lunghissimo giorno di riprese”, racconta ancora il regista – ed Eli Roth, l’amico splatter di Quentin Tarantino che ha diretto Hostel e spaccava teste naziste con la mazza da baseball in Bastardi senza gloria.

La trama? Non scherziamo. Non serve. Bastano poche righe: durante uno ‘spring break’ a Lake Victoria, in Arizona, 50mila studenti giovani, nudi e abbronzati si riuniscono per una settimana di sole, birra, tuffi e ‘bunga bunga’. Ma quest’anno, ci sono degli ospiti inattesi: una scossa tellurica libera dal fondo del lago banchi di feroci pesci preistorici bramosi di carne umana. Una famigliola e una troupe di film porno si trovano loro malgrado coinvolti nel bagno di sangue. Tra di loro, si riconoscono i volti e i nomi di Elisabeth Shue, Jerry O’ Connell e Steven R. McQueen, nipote del celebre Steve.

E’ tutto. Dell’originale restano solo il titolo e le premesse. I personaggi cambiano, ma nessuno se ne accorge, dato che la loro unica funzione è quella di venire smangiucchiati nei modi più atroci che si possano immaginare, non diversamente dagli imbambolati ragazzotti che finiscono massacrati nella serie di successo Final Destination. Qui, come lì, il gioco sta soprattutto nell’indovinare come morirà e quanto si farà male l’idiota di turno. E la tragedia viene così sublimata in un’atmosfera da cartoon che fa saltare sulla sedia, disgusta, fa coprire gli occhi – lasciando naturalmente aperto il classico voyeuristico ‘spiraglio’ per sbirciare – ma non spaventa mai veramente. Il fatto che poi tali crudeltà siano spesso e volentieri applicate ad abbondanti grazie femminili aggiunge alla visione un gusto sadico che certamente contribuirà non poco agli incassi nelle sale. Ma non si tratta di un film misogino o maschilista: in assoluto regime di parità dei sessi, c’è spazio anche per la deturpazione e la lacerazione di parti intime virili, per cui i maschietti si preparino a mettere istintivamente le mani sulla patta esclamando un ‘ouch!’ di raccapriccio.
Di più non vi diciamo, per non rovinarvi la “sorpresa”.

Viene tra l’altro a cadere la tematica “eco-vengeance” alla base del prototipo, realizzato nel ’78, ancora in piena guerra fredda. Lì erano gli uomini a creare incidentalmente i mostri per ragioni di carattere militare. E dunque il messaggio era: “Chi è causa del suo mal…”
Qui vengono fuori un po’ per caso, in seguito a una scossa tellurica.
Ma certamente Aja avrà raggiunto il suo scopo se dopo aver visto il film ci penseremo due volte prima di entrare in acqua: “Mentre giravo Riflessi di paura – dichiara – speravo di provocare un piccolo trauma negli spettatori, che tornando a casa avrebbero avuto un po’ di timore nel guardarsi allo specchio. E credo di esserci riuscito. Questa volta mi sono chiesto: dopo Lo squalo, è possibile girare un film capace di traumatizzare un’altra generazione? Cercavo un’esperienza forte, e sarà il 3D a renderla indimenticabile”.

Non si tratta, comunque, del primo tentativo di riportare al cinema i pinnuti assassini. Il Piraña originale – il titolo italiano era così, con la ñ spagnola – ottenne ai suoi tempi un gran successo di pubblico, generando un sequel, Piraña Paura (1981), firmato nientemeno che da un James Cameron agli esordi ma realizzato in realtà dal produttore italo-greco Ovidio G. Assonitis, e un remake televisivo, Piranha – La morte viene dall’acqua (1995), che riciclava abbondanti porzioni di pellicola dal film di Dante. Di recentissima produzione è invece Mega Piranha, prodotto dalla Asylum, etichetta specializzata in remake a costo bassissimo dei blockbuster hollywoodiani. Con un budget che non copre nemmeno le spese di catering del film di Aja, il regista Eric Fosberg mette su un imperdibile cult-trash interpretato da una versione “tonta” di Schwarzenegger – tale Paul Logan – e da pescioni zannuti in CGI che fanno rimpiangere i tempi dell’animazione a passo uno.

Insomma, si cavalca l’onda. E il potenziale remunerativo del filone, come spesso accade, verrà rosicchiato fino all’osso.

Andrea Guglielmino
03 Marzo 2011

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