PESARO – Un festival che recuperi la dimensione del gioco, del cinema come sperimentazione e divertimento. Un festival come luogo d’incontro tra pubblico e artisti, critici e programmatori, ricercatori e studenti. Un festival infine che aiuti a comprendere quei cambiamenti, nella cultura e nella società, che il cinema è in grado di anticipare, raccontare, portare allo scoperto. Sono tante, e lungamente dibattute in sala, le suggestioni proposte oggi alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro sul tema al centro del convegno “Il futuro del nuovo cinema – i festival“.
“Siamo stati chiamati quest’anno a reinventare un festival che ha la parola ‘nuovo’ nel suo nome – ha spiegato Gianmarco Torri, nel comitato scientifico della Mostra di Pesaro – e quindi ci siamo chiesti: qual è il nuovo cinema? E in che modo è più giusto mostrare le opere di questo nuovo cinema? Da dove dobbiamo ripartire per ricostruire la forma-festival?”. A partire da questi interrogativi, condivisi con i programmatori e gli organizzatori di molti festival “considerati fino a oggi concorrenti”, il dibattito ha toccato alcuni punti salienti. Il pubblico, innanzitutto, come primo fruitore del festival. Lo ha detto chiaramente Pedro Armocida, direttore della Mostra di Pesaro – “È fondamentale capire a chi si rivolge il festival e indispensabile trovare una rispondenza nel pubblico” -, ma lo hanno ribadito in tanti. Per Boris Sollazzo, nel comitato scientifico della Mostra, “il pubblico non va assecondato, spesso va superato. Certamente non deve essere mai ignorato. Se oggi il pubblico usa la locuzione ‘questo è un film da festival’ per indicare un film che non andrà a vedere al cinema, dobbiamo farci qualche domanda. Il segreto è rendere unica l’esperienza del festival, creando in chi non è presente una specie di invidia per non esserci stato”. Perché il festival deve essere, oggi come ieri, prima di tutto un luogo di incontro. “I festival sono l’anello di congiunzione di una filiera che non può prescindere dalla distribuzione, dalla produzione e dall’esercizio” secondo Laura Buffoni, unica donna sul palco e nel comitato della Mostra, “sono un momento di scambio e di incontro che dobbiamo far conoscere al pubblico – ha aggiunto Federico Gironi, tra i selezionatori del festival di Torino – ripensandone persino la logistica. Sarà banale, ma uno dei motivi della crisi di un festival come quello di Venezia è anche il luogo in cui si svolge”.
Gli “altri” festival entrano spesso nel dibattito, e non sempre come fecondi interlocutori. Per Federico Rossin, programmatore e curatore di numerosi festival in Francia, “Esiste una realtà anche più sporca di come la raccontiamo. Una realtà in cui ci si rubano film da un festival all’altro, non c’è circolazione di saperi, e questa dinamica di certo non fa bene agli autori. I festival dovrebbero attirare luce sui film, e ormai sono pochi quelli che lo fanno per davvero”. Un meccanismo di competizione che nuoce agli artisti prima che ai programmatori: “C’è l’insopportabile questione delle anteprime – ha commentato Mauro Santini, regista e componente del comitato della Mostra – Tutti vogliono le anteprime. E così, se presenti un film a un festival, automaticamente ti giochi la possibilità di partecipare altrove”. Altro tema caldo: il budget, gli sponsor, i finanziatori. Che qualcuno chiama, senza mezzi termini, “i nuovi padroni”. E se la linea generale è che un budget corposo non sia indispensabile per una riuscita “libera” del festival, “oggi le persone che ti finanziano non si interessano certo delle qualità del bellissimo film siriano che hai in programma – ha raccontato Giona Nazzaro, programmer in Svizzera – ma ti chiedono piuttosto quali film di quali star stai programmando. Ti chiedono “cosa ci porti?”. Prevale, ormai, una logica spettacolare: non c’e nulla di male nello spettacolo, ma da qui ad essere rappresentati dallo spettacolo ce ne corre. Bisogna, perciò, che i festival si scelgano molto bene i propri compagni di viaggio”.
Riguardo ai contenuti, il dibattito sul cinema nuovo si è fatto più frammentato tra chi, come Rinaldo Censi (programmatore alla Cineteca di Bologna) ha chiesto di “sporcarsi le mani e andare a cercare nel passato nella storia del cinema, tra quei cineasti anni ’50 e ’60 che sono nascosti negli archivi, capaci di parlare del nuovo più dei contemporanei” e chi come Giacomo Ravesi, curatore a Pesaro, ha individuato il cinema nuovo “nel cinema sperimentale, nelle sue forme minori e marginali”. A Bruno Torri, storico fondatore del festival e coordinatore del comitato scientifico della Mostra di Pesaro, le conclusioni: “Quando abbiamo fondato il festival volevamo creare un evento con un indirizzo netto – ha raccontato – eravamo per un nuovo cinema e dunque contro il cinema dell’omologazione, eravamo interessati alla ricerca, alla sperimentazione di nuovi linguaggi, agli aggiornamenti estetici. E anche alla poitica e all’ideologia, perchè per noi il cinema era anche un modo di veicolare visioni del mondo e concezioni della società. Certo, al tempo era più facile farlo perchè i festival con questo indirizzo erano pochi. Ma credo che questa idea di battaglia culturale e ideologica non vada perduta. I festival possono avere anche una funzione pedagogica”.
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